Nella giornata del 17 aprile, circa 51 milioni di italiani sono stati chiamati alle urne per partecipare al referendum sulle trivelle che mira a limitare lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi marini all’interno delle nostre acque territoriali, ossia a meno di 12 miglia dalla costa italiana (circa 22 chilometri), e che purtroppo non ha raggiunto il quorum.
Gli elettori erano chiamati a decidere se modificare la vigente legge, approvata nel 2006 e che consente che le piattaforme petrolifere esistenti possano continuare ad estrarre gas e petrolio fino a quando il giacimento non si esaurisca, ponendo una scadenza a questo sfruttamento, votando “sì”. O se al contrario, votare “no” alla riforma della legge. Purtroppo però il referendum era valido solo se avessero votato almeno la metà più uno degli aventi diritto: il Viminale ha reso noto che alle ore 12 aveva votato l’8,3%, mentre alle 19 l’affluenza era del 20,97%. I seggi sono rimasti aperti fino alle 23, momento nel quale è iniziato lo spoglio.
Attualmente in Italia esistono 44 concessioni che gestiscono complessivamente 48 piattaforme petrolifere situate all’interno delle nostre acque territoriali. Secondo la vigente legislazione, le concessioni hanno una durata iniziale di 30 anni, prorogabili la prima volta per altri 10 e in altre due occasioni per ulteriori cinque anni. Dopo queste proroghe, le compagnie possono chiedere la continuazione dello sfruttamento del giacimento senza limiti fino al suo esaurimento.
Associazioni ecologiste come Greenpeace e WWF hanno lanciato diverse campagne a favore della partecipazione al referendum, dato che l’astensione è uno dei suoi principali rischi, e a favore di votare “sì” alla modifica della legge per evitare così possibili rischi ambientali e sanitari. Queste organizzazioni ammettono che dovrebbe essere difficile che in Italia si verifichi una catastrofe ambientale della portata di quella avvenuta nel Golfo del Messico nell’estate del 2010, quando una piattaforma esplose riversando nell’oceano 780 milioni di litri di crudo, però allo stesso tempo mettono in allerta riguardo a un possibile disastro ambientale in caso di mal funzionamento in una delle piattaforme.
In occasione del referendum, Greenpeace ha pubblicato uno studio realizzato da ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca, che metteva in evidenza l’esistenza di agenti contaminanti che tra il 2012 e il 2014 superava i livelli stabiliti dalla legge nelle piattaforme petrolifere ubicate nelle acque territoriali italiane. Ma soprattutto le associazioni ecologiste ritengono che l’obiettivo del referendum sia mandare al Governo un segnale chiaro a favore di una politica che favorisca le energie rinnovabili.