Fervono le proteste dei cristiani in Cina, dopo che le autorità di Zhejiang (provincia costiera occidentale della Repubblica) ha disposto il sequestro di più di 1.200 croci dalle chiese localizzate nel suo territorio. L’iniziativa è solo l’ultimo atto di una campagna iniziata nel 2013, promossa dal governo allo scopo di cancellare i simboli religiosi in virtù della ragione di Stato.
La Cina è infatti particolarmente intollerante nei confronti dei religiosi praticanti, al punto che molti cittadini si rifiutano addirittura di dichiarare apertamente la propria professione ideologica-qualora non sia quella comunista-per timore di ripercussioni.
Molti cristiani si sono però ribellati ai diktat imposti dal governo, e lo scorso venerdì una ventina di temerari esponenti del clero cattolico hanno manifestato pubblicamente presso Wenzhou-città ribattezzata “Gerusalemme dell’Est”-per protestare contro la rimozione forzata dei crocifissi. Tra loro c’era anche Vincent Zhu Weifang, 89enne vescovo della diocesi locale.
La protesta è andata avanti per più di due ore, sotto i vigili occhi della polizia del regime, ma secondo quanto riportato da UCA News non sono stati registrati scontri. La provincia di Zhejiang è considerata come il luogo più caldo di questo braccio di ferro tra il governo di Pechino, deciso ad imporre l’ideologia capitalista-comunista distruggendo ogni altro “concorrente”, ed i cristiani.
Zhejiang può infatti vantare la più grande congregazione cristiana di tutta la Cina (circa 300.000 cattolici, oltre ad un milione di protestanti), ed è considerata la roccaforte della libertà di culto in patria, il baluardo massimo contro l’oppressivo governo cinese.
Per questa ragione, da Pechino, la parola d’ordine è una sola: distruzione. Moltissime chiese sono state infatti prese di mira da parte della polizia, che nel migliore dei casi ha l’ordine di razziare; nel peggiore, intervengono ruspe e bulldozer per ridurre i luoghi di culto in macerie.
Il governo tuttavia nega che sia in atto una qualsivoglia forma di discriminazione religiosa, e continua a sostenere la tesi secondo cui stia semplicemente “demolendo costruzioni abusive”. “Stanno cercando di trasformare il culto cristiano in uno strumento che possa essere funzionale al Partito” ha denunciato un prete cinese citato dal The Guardian, la cui identità non è stata resa nota.
“Quello che stanno facendo è paragonabile a quanto accaduto durante la Rivoluzione Culturale” ha continuato l’anonimo esponente clericale, citando la distruzione indiscriminata di luoghi di culto avvenuta negli anni ’60 per ordine di Mao Zedong. Già a Maggio erano apparse fotografie che ritraevano la croce di una chiesa a Zhejiang data alle fiamme. “Questi atti diabolici stanno causando un grande risentimento, ed una grande rabbia tra i fedeli” hanno ammonito alcuni esponenti del clero, in una lettera aperta inviata a Pechino.
“Rimuovere le croci significa distruggere la fede dei credenti, distruggere l’amore ed indulgere all’odio”. La questione della guerra alle religioni in Cina-a partire proprio dal cristianesimo, che rappresenta quella in più rapida ascesa-ha già valicato i confini nazionali. Marco Rubio, repubblicano candidato alla Casa Bianca, ha affermato che: “Senza alcun dubbio, la libertà religiosa è sotto assedio in Cina”.
Molti attivisti statunitensi hanno inoltre chiesto al Presidente Barack Obama di discutere la questione con il collega cinese Xi Jinping, quando quest’ultimo giungerà in visita nel Paese a stelle e strisce il prossimo Settembre.