Si chiamano cosleepers (dall’inglese co-sleeping, locuzione con la quale viene comunemente indicata la pratica di far dormire il figlio insieme ai genitori praticamente fino alla soglia della pubertà), e rappresentano l’ultima frontiera delle “accompagnatrici senza privilegi extra”: trattasi di ragazze che, dietro compenso, si impegnano a dormire con un “cliente” per alleviare la sua solitudine, così da rendere meno tristi le sue notti. Ma niente sesso: è una regola ferrea, che tutte le professioniste del settore sono tenute a rispettare rigidamente.
Due giorni fa Micol Scarfatti, sulla testata online de IlFattoQuotidiano, aveva riportato un’intervista ad una cosleeper giapponese nota con il nome di Yuki; mediante la citazione di alcuni estratti, è stato spiegato nei dettagli in cosa consiste la mansione della ragazza, chiarendo la fondamentale differenza che intercorre tra la pratica del cosleeping e quella della prostituzione.
La prima regola è infatti quella dell’astinenza: a tutte le ragazze che decidono di diventare cosleeper viene proibito di fare sesso con i clienti. E’ stata la stessa Yuki, studentessa 22enne di Tokyo, a ribadirlo: “I clienti lo sanno benissimo, e non si azzardano nemmeno. Qualcuno ogni tanto prova a fare quattro chiacchiere, o chiede di farsi cantare una canzonzina per addormentarsi. Ma nessuno allunga le mani”. Ma da cosa deriva il fenomeno del cosleeping, e per quale ragione ha avuto tanto successo in Giappone?
Si tratta di una moda che ha visto la sua origine negli Stati Uniti, grazie ad una brillante intuizione di Jackie Samuel, il quale aprì a New York il The Snuggery (La Coccoleria). In questo locale erano dispensati abbracci su pagamento, ed il sistema ha preso piede venendo di volta in volta migliorato, fino ad arrivare all’attuale versione giapponese. Il primo centro per cosleepers (esercizi noti come “cuddle bar“, ovvero “bar delle coccole“), inaugurato con il nome di Soineya, è stato aperto proprio nella capitale del Paese da Masashi Coda.
Presso il Soineya gli uomini, specialmente coloro che trascorrono metà giornata (o anche di più) a lavorare, non hanno famiglia e soffrono di grande solitudine, si ritrovano per lasciarsi andare alle amorevoli cure delle ragazze. “La maggior parte mi fa tenerezza, quasi pena-ha confessato Yuki-Sono giovani molto timidi ed educati, che hanno bisogno di sentire affetto e di avere un contatto fisico rassicurante con una donna”.
“Poi ci sono tanti uomini, anche di mezza età, che lavorano anche 13 ore al giorno. Non hanno altro, sono soli. Credo che nel nostro Paese-ha concluso la giovane cosleeper–i cuddle bar funzionino perché si lavora troppo, e le città sono enormi, dispersive: creare relazioni autentiche è troppo difficile”.