Secondo quanto riporta il Corriere, monsignor Vincenzo Paglia, ex vescovo di Terni e attuale presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, è indagato dalla Procura di Terni per la compravendita del castello di Narni, la cui gara pubblica, sempre secondo i magistrati, si sarebbe svolta in maniera irregolare.
Paglia, tra le tante cose anche esponente di spicco della Comunità di Sant’Egidio fondata dall’ex ministro Riccardi, nel precedente incarico come vescovo, ricoperto per 12 anni, aveva lasciato un buco da 20 milioni di euro. Fu proprio questo il motivo per cui Papa Ratzinger decise di rimuoverlo dalla guida della diocesi, dopo che la Chiesa vaticana si era vista costretta a prestare 12 milioni dello Ior alla diocesi umbra, causando un’importante perdita sul bilancio del 2013.
Ora, per monsignor Vincenzo Paglia, arriva un nuovo macigno dalla Procura di Terni. Al centro delle indagini, vi è come detto la compravendita del castello San Girolamo a Narni, avvenuta quattro anni fa da parte della Imi immobiliare Srl; in realtà, secondo gli inquirenti, si tratterebbe di soldi che sarebbero provenuti, in maniera indebita, dalla diocesi di Terni; Paglia sarebbe stato al centro della vicenda, come principale promotore dell’affare. Indagati anche Paolo Zappelli, amministratore unico della Imi immobiliare ed economo della diocesi umbra, Luca Galletti, direttore dell’ufficio tecnico della diocesi, Francesco De Santis, vicario episcopale e portavoce del vescovo, oltre a Stefano Bigaroni, all’epoca dei fatti sindaco di Narni.
Secondo gli inquirenti, il prezzo pagato dalla diocesi per l’acquisto del castello sarebbe stato di oltre un milione di euro. L’operazione sarebbe stata realizzata tramite due conti correnti di Galletti e Zappelli, che avrebbero poi beneficiato del business immobiliare. Inoltre, il sindaco avrebbe avvertito per tempo il vescovo della sua intenzione di inserire il castello nelle aree in vendita del Comune di Narni, ben prima della pubblicazione dell’elenco ufficiale, informando Paglia anche del prezzo (1 milione e 760mila euro), decisamente minore del reale valore dell’immobile, di circa 5 milioni e mezzo.