“Se la nuova legge sull’aborto interesserà solo il 10% dei casi totali, qual’è la sua utilità?”. E’ questo l’interrogativo posto dal dottor Chafik Chraibi, ginecologo ed attivista impegnato contro la pratica dell’aborto illegale in Marocco, il quale ha poi continuato spiegando: “Cosa dovremo fare con il 90% dei casi rimanenti? Abbiamo bisogno di una legge sostenibile, che possa essere utile a questa ed alle prossime generazioni”. I dubbi di Chraibi vanno contestualizzati nel dibattito che sta attualmente dividendo il Paese orientale, relativo alla nuova legge sull’aborto, che ha già tracciato una netta linea di separazione tra progressisti e conservatori.
Il problema fondamentale è che la legge in questione non è ancora pronta, anzi: il suo travaglio (perdonate il misero giochino di concetti) si sta rivelando particolarmente ostico. Da una parte ci sono i liberali, che sostengono l’importanza di una legge tout court, che possa essere applicata a tutti i casi in questione, e non semplicemente ad una minima fetta della popolazione e solo in circostanze eccezionali. Dall’altra, gli immancabili oppositori di questa pratica, che fanno inevitabilmente leva sui precetti religiosi.
Attualmente in Marocco l’aborto non è considerato un crimine solo nel caso in cui la vita della madre sia stata messa in pericolo dalla gravidanza. Ma eventualità come lo stupro o l’incesto non sono considerate discriminanti sufficientemente importanti da permettere ad una donna di abortire. In quei casi, infatti, la pratica rimane illegale. Tuttavia, uno spiraglio verso il miraggio di una legge progressista è stato aperto direttamente da Re Mohammed VI, che ad Aprile aveva aperto al dialogo per una legge sull’aborto più liberale.
Tuttavia, ad oggi questa pratica rimane ancora un tabù in Marocco: lo stesso Chafik Chraibi ne ha fatto le spese sulla propria pelle, stando a quanto riporta il The Guardian. Chraibi era infatti il primario di ginecologia ed ostetricia dell’ospedale di Rabat, ma lo scorso Febbraio è stato licenziato in tronco per aver permesso alle telecamere di entrare nella struttura, allo scopo di mostrare ai cittadini i pericoli dell’aborto illegale. L’aver fatto entrare i documentaristi nell’ospedale, è costato a Chafik Chraibi la fine della sua stessa carriera ultratrentennale.
Ma nonostante ciò, l’ex primario sta continuando la sua battaglia contro l’aborto illegale, ed è tuttora impegnato a spiegare al mondo la situazione che vivono attualmente migliaia di ragazze in Marocco, alle prese con gravidanze indesiderate per i motivi più disparati. Chraibi ha infatti affermato che le giovani donne che arrivano nelle corsie degli ospedali dopo un aborto, spesso non denunciano il fatto poiché se lo facessero, secondo le leggi attuali, andrebbero in prigione.