Prete filippino prigioniero chiede aiuto per 240 prigionieri di guerra

Tra i prigionieri ci sarebbero bambini, insegnanti e religiosi, ma non c'è conferma sul numero dei prigionieri che, dal 24 maggio, sono nelle mani degli jihadisti.

Prete filippino prigioniero chiede aiuto per 240 prigionieri di guerra

Un gruppo di jihadisti, il 24 maggio, ha rapito padre Teresito (Chito) Suganob, sacerdote filippino vicario generale della prelatura di Marawi, nelle Filippine e, insieme a lui, almeno altri quindici fedeli che, in quel momento, stavano assieme al sacerdote.

Marawi è una città filippina di 200 mila abitanti, in maggioranza di fede musulmana, ed è situata nella parte meridionale dell’isola di Mindanao: qui, da una settimana, l’esercito filippino e il gruppo jihadista Maute, legato all’Isis, stanno combattendo.

In risposta alle severe misure messe in atto dal presidente filippino Rodrigo Duterte, un gruppo di jihadisti ha preso d’assalto la cattedrale di Marawi, dandola alle fiamme, e portando con sé sacerdote e fedeli. 

I militanti islamici, oggi, si sono fatti vivi chiedendo al presidente filippino di sospendere le operazioni militari contro i combattenti jihadisti dei gruppi Maute e Abu Sayyaf. Così racconta l’Inquirer, sito di informazione filippino, citando un video, condiviso sui social media, in cui si vede padre Teresito che parla.  

Padre Teresito Suganob avrebbe detto: “Signor presidente, siamo nel mezzo di una guerra. Le chiediamo di aiutarci. Dia ai suoi nemici quello che hanno chiesto: ritiri le sue truppe (…), faccia finire i bombardamenti. I suoi nemici sono pronti a morire per la loro religione“. Alle spalle del sacerdote, nel video, si vedono le rovine di città distrutte da una lotta che ha già fatto centinaia di morti.

Padre Teresito ha ricordato anche che, prigionieri insieme a lui, ci sono almeno altre 240 persone, tutte “prigioniere di guerra”. Ci sono bambini, ci sono religiosi e insegnanti. Tuttavia, non c’è alcuna informazione chiara e precisa che possa confermare che davvero ci siano così tanti “prigionieri di guerra”.

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