Immigrati chiusi nei vagoni: accuse all’Ungheria di Orban

"Questo vagone viaggia a porte chiuse". Questo il cartello affisso fuori dalla carrozza in cui sono stati stipati uomini, donne e bambini arrivati in Ungheria come clandestini. Immediate le polemiche: "i vagoni chiusi ricordano quelli del 1944"

Immigrati chiusi nei vagoni: accuse all’Ungheria di Orban

Al treno intercity che parte da Pecs, nel sud dell’Ungheria, e diretto a Budapest è stato aggiunto un vagone. Le porte della carrozza sono poi state chiuse dall’esterno ed è stato appeso un cartello che informa: “Questo vagone viaggia a porte chiuse“. Qual’è il carico speciale che richiede, secondo il governo di Orban, una misura di sicurezza del genere? Migranti – per lo più siriani e afghani – in viaggio verso i campi profughi dove vengono portati dopo essere stati registrati come clandestini uno per uno. La decisione di metterli sottochiave? Un modo sicuro per assicurarsi che non scappino facendo perdere le proprie tracce. La notizia arriva a poco più di una settimana dall’inizio dei lavori di costruzione del muro anti-migranti voluto dal governo ungherese, una barriera alta 4 metri che si svilupperà per 175 chilometri lungo il confine tra Serbia e Ungheria.

Immediate le reazioni di alcuni media locali, insorti contro il governo urlando a gran voce che i vagoni blindati ricordano molto quelli usati nel 1944 per deportare mezzo milione di ebrei ungheresi nei campi di concentramento della Germania nazista. Ad accusare il governo ungherese ci si mette anche l’Unione europea: sì, perché l’Ungheria è l’unico Paese Ue che non ha rispettato l’accordo sull’accoglienza dei migranti raggiunto a Bruxelles.

Di questo, però, il vice-presidente Janos Lazar non sembra preoccuparsi, e con tono fermo e severo dice: “Questa gente avrebbe dovuto essere fermata e registrata già in Grecia perché sono entrati in Europa da lì e, da quel che mi risulta, nei Balcani non c’è attualmente alcuna guerra. Hanno pagato dei trafficanti, in Serbia, e vengono trasportati a bordo di autobus fino al confine ungherese. Costruiamo una barriera proprio per farla finita con tutto questo”.

Sul confine meridionale dell’Ungheria, nei pressi delle stazioni di Pecs e Szeged, continuano comunque ad essere presenti moltissimi volontari pronti a distribuire ogni giorno ai profughi acqua e cibo, assistenza nella medicazione di ferite e aiuto a donne incinte o con bambini molto piccoli.

 

Continua a leggere su Fidelity News