Prato: sodomizza il compagno di cella. Aveva violentato sua figlia

Un detenuto di origini cinesi violentato per più di un mese dal suo compagno di cella, un marrocchino di 44 anni. Il fatto è accaduto nell'istituto penitenziario "La dogaia" di Prato

Prato: sodomizza il compagno di cella. Aveva violentato sua figlia

Un cinese di 35 anni, detenuto nell’istituto penitenziario di Prato “La Dogaia” per aver ripetutamente violentato la figlia, è stato costretto, per oltre un mese (35 giorni), a subire continue violenze sessuali da parte del suo compagno di cella – un detenuto marrocchino, di 44 anni, anch’egli detenuto per violenze sessuali.

Il 35enne, ha deciso di denunciare il tutto, alla polizia penitenziaria, lo scorso 23 gennaio (solo ieri è stata divulgata la notizia), ribadendo che, sistematicamente all’ora di cena, era costretto a sottostare alle angherie del marocchino.

La visita medica, alla quale in seguito è stato sottoposto il denunciante, ha confermato che quanto denunciato dal cinese, corrisponde a verità, accertando le gravi lesioni in essere.

Come da protocollo, gli atti sono stati trasferiti immediatamente alla Procura di Prato e, ad occuparsene, sarà direttamente il magistrato titolare dell’indagine:  ossia Antonio Sargermano.

In attesa di risvolti, per il momento, i due detenuti sono stati divisi, ed il marrocchino è stato trasferito in un’altra cella dello stesso istituto di Prato dove, naturalmente, è scattato nei suoi confronti un ulteriore provvedimento di custodia cautelare per stupro. Il cinese invece, è stato traferito presso l’istituto penitenziario fiorentino di Solleciano e, tutt’ora, è sotto regime di protezione per ovvi motivi.

Da quanto emerso dalle indagini – ancora in corso – a quanto pare, tutte le sere, all’ora di cena, quando i detenuti sono sorvegliati da un solo agente di custodia, e quindi hanno “più libertà di movimento”, il marocchino soddisfava le proprie voglie usando la “scusante” che “i bambini non si toccano”.

Una vicenda assurda che dovrebbe far riflettere sulle reali condizioni dei detenuti, i quali, va ricordato, sono rinchiusi nei carceri, oltre che per espiare i propri errori, ma sopratutto per essere rieducati e permettere loro – dopo l’espiazione della pena – di reintegrarsi all’interno della società.

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