Una nuova ondata di polemiche ha riacceso la questione relativa alle violenze sessuali in India, con la censura del film-documentario diretto dalla regista britannica Leslee Udwin, contenente anche un’intervista ad uno degli stupratori ora in carcere per violenza sessuale ed omicidio. I fatti risalgono al 2012, quando una studentessa era stata vittima di uno stupro di gruppo all’interno di un autobus a Nuova Delhi: gli uomini si erano accaniti sulla ragazza con tale violenza da causarne la morte, avvenuta 13 giorni più tardi in ospedale, a causa delle gravissime lesioni riportate. Ma stando a quanto raccontato da Mukesh Singh, uno dei quattro condannati a morte, la colpa sarebbe stata della ragazza: “Non avrebbe dovuto andarsene in giro alle nove di sera” ha infatti dichiarato lo stupratore di fronte alla telecamera, aggiungendo che “una ragazza è molto più responsabile di un ragazzo per uno stupro”.
Il documentario, intitolato India’s Daughter (“Figlia dell’India”) raccoglie altre dichiarazioni raccapriccianti dello stesso Singh: secondo il criminale infatti, se la donna non si fosse opposta alla violenza, non sarebbe stata picchiata e torturata ed oggi sarebbe ancora viva. Ed è proprio il contenuto, giudicato “eccessivamente forte” dalle autorità indiane, ad aver condotto alla sua censura. Il Ministro dell’Interno indiano Rajnath Singh ha infatti dichiarato di fronte al Parlamento: “Il film contiene commenti di un condannato altamente denigratori nei confronti delle donne”, motivando così il proprio veto alla trasmissione. Dello stesso avviso è anche il portavoce della polizia di Nuova Delhi, che ha poi spiegato: “Abbiamo ricevuto solo estratti promozionali del film. A partire da ciò, abbiamo posto la questione alla magistratura, perché pensiamo possa provocare timori di attentato all’ordine pubblico”.
E la magistratura ha puntualmente vietato l’uscita in India del documentario, che sarebbe dovuto essere trasmesso proprio l’8 Marzo, in occasione della festa della donna, in sette Paesi. Tra i quali figurano appunto India e Gran Bretagna (nella quale esso verrà regolarmente trasmesso, così come nelle altre cinque nazioni interessate). Il Ministro dell’Interno ha aggiunto che Leslee Udwin ha violato le condizioni al permesso per girare all’interno del carcere, non mostrando l’intero girato alle autorità penitenziarie. Ma la Udwin ha affermato di avere ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie, commentando così la decisione della magistratura indiana: “Mi spezza il cuore. Più proibiranno il film, più l’interesse della gente crescerà. Ora tutti vorranno vederlo”. La stessa regista ha poi dichiarato, in merito all’intera vicenda: “Credo di aver capito perfettamente il modo in cui quest’uomo vede le donne, ed è questo che è estremamente scioccante. Non quello che ha fatto ma ciò che pensa, ed è ciò che l’ha portato ad agire. E non è l’unico a pensarla così: si parla di un’intera società”.
Il problema delle violenze sessuali sulle donne è infatti una vera e propria piaga in India, basti pensare che nel rapporto di Gennaio della polizia indiana in relazione ai crimini avvenuti nel 2014, emerge un dato spaventoso: i casi di stupro nello scorso anno sono cresciuti del 31,6% rispetto al 2013. Secondo queste statistiche, in media solo a Nuova Delhi vengono violentate 4 donne al giorno, e si parla unicamente dei casi denunciati. I quattro uomini autori dello stupro di gruppo del 16 Dicembre 2012, che ha portato alla morte della studentessa di fisioterapia, erano stati in primo luogo condannati a morte, ma la sentenza era stata sospesa dalla Corte Suprema indiana. Dei quattro uno si è poi impiccato in cella, mentre un altro è stato condannato a soli tre anni in un carcere minorile, essendo stato minorenne al momento dell’aggressione.
La polizia ed il governo hanno quindi vietato la trasmissione del documentario di Leslie Udwin, temendo che la sua visione potrebbe scatenare una sorta di “caccia allo stupratore” da parte della popolazione. E mentre i diritti dei violentatori vengono provvidenzialmente salvaguardati dal veto, la “caccia alle donne” prosegue invece senza sosta.