E’ morto Dario Fo: l’Italia si stringe nel lutto, ma lui e Franca Rame sono già leggenda

E' morto Dario Fo, il "giullare sociale" considerato da molti critici come il più grande artista italiano del secolo scorso, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1997.

E’ morto Dario Fo: l’Italia si stringe nel lutto, ma lui e Franca Rame sono già leggenda

E’ morto Dario Fo, e quasi tutta Italia si stringe nel lutto. Il drammaturgo – considerato da numerosi critici semplicemente come “il più grande” artista italiano del Novecento – si è spento all’età di 90 anni nell’ospedale Sacco di Milano, all’interno del quale era stato ricoverato dodici giorni fa.

Autore di oltre cento opere fra racconti, saggi, commedie, testi di satira e biografie, Dario Fo vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1997, all’età di 71 anni, con la seguente motivazione: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi“.

Insignito della laurea honoris causa dall’università La Sapienza di Roma e dalla celeberrima Sorbona parigina, Dario Fo è stato sicuramente una delle eccellenze più eclettiche del movimento culturale italiano del XX secolo: scrittore, sceneggiatore, drammaturgo ed attore, ma anche regista, scenografo, illustratore e persino paroliere di canzoni, il genio di Sanzano fu conosciuto principalmente per i suoi meriti teatrali e per il suo impegno nel sociale.

Tant’è che ricevendo il Nobel per la letteratura, ebbe a dire: “Con me hanno voluto premiare la Gente di Teatro“. Fo non fu solamente un illustre uomo di cultura bensì anche – se non soprattutto – uno dei più grandi attivisti sociali del secolo scorso: con i suoi spettacoli diede voce ad un’Italia violentata e martoriata dalle sue istituzioni politiche e giuridiche, scagliandosi a più riprese contro la mafia e le sue infiltrazioni nell’apparato statale.

Un’esistenza consacrata alla rappresentazione ed alla denuncia vissuta sempre al fianco della “sua” Franca Rame, che definire “moglie“, “musa” o “mecenate” sarebbe colpevolmente riduttivo; eppure ella era tutto ciò e molto di più. I due si conobbero negli anni ’50 ed il loro amore fu totale, olistico, venendo bruscamente interrotto solamente il 29 maggio 2013 quando lei esalò l’ultimo respiro (un momento che lui definirà: “Il più grande dolore della mia vita“).

Con Franca abbiamo vissuto tre volte più degli altri” commentò Dario Fo ricordando la compagna, che nel 1973 si trovò a pagare un prezzo mostruoso per avere formato in quegli anni bui, insieme al marito, la coppia più iconica della denuncia sociale contro le angherie dello Stato.

Era il 9 marzo, Franca venne costretta a salire su un furgoncino e ripetutamente stuprata e torturata con lame e sigarette da cinque militanti di estrema Destra; sobillatori in collaborazione diretta con la Divisione Pastrengo dei Carabinieri, che l’Arma utilizzava come infiltrati nei movimenti di Sinistra durante i nefasti Anni di Piombo. La tennero ferma sottoponendola ad ogni genere di umiliante oscenità, uno dopo l’altro, per intere ore; salvo poi scaricarla esanime prima di dileguarsi nella notte.

La notizia dello stupro della Rame in caserma fu accolta con euforia, il comandante era festante come se avesse fatto una bella operazione di servizio. Anzi, di più…” testimoniò all’epoca Nicolò Bozzo, uno dei collaboratori più fidati del compianto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un’operazione, suggerì lo stesso Bozzo, orchestrata con ogni probabilità dai piani alti della politica italiana di allora.

Le maggiori ombre si addensarono sul generale Vito Miceli, futuro capo del SID, accusato dallo stesso Giovanni Battista Palumbo (all’epoca comandante della Pastrengo e membro della loggia P2, nda) di essere stato il mandante dell’azione. Sospetti poi corroborati dall’esito del processo, grottescamente arrivato solo venticinque anni più tardi: una sentenza che vide i cinque responsabili lasciati in libertà senza un solo giorno di galera grazie alla prescrizione del reato.

Due anni più tardi arrivò la straordinaria risposta di Franca, che scrisse e portò in teatro quelle terribili ore con il monologo “Lo stupro“, provocando lo svenimento di diversi spettatori nel rappresentare verbalmente, con straordinaria lucidità, le atrocità irripetibili alle quali fu sottoposta.

Eppure neanche quell’episodio riuscì a fermarli, anzi convinse entrambi – ancora di più, se possibile – della necessità di raccontare al mondo cosa stesse accadendo a quell’Italia, figlia dell’odio e della violenza. E lo fecero con una insostenibile leggerezza dal retrogusto kafkiano, l’uno con l’inarrivabile talento artistico che più tardi gli valse il Nobel come “giullare spauracchio dei potenti“, l’altra impegnandosi attivamente in politica.

Questi erano, Franca Rame e Dario Fo: non solo artisti, attivisti, icone di scena a tutto tondo bensì molto, molto di più. Cosa, di preciso? Difficile, forse impossibile definirlo: non esiste vocabolo o locuzione nella lingua italiana o in altri idiomi che possa avere la pretesa di determinare, di sintetizzare il valore intrinseco di due anime gemelle vissute e morte come esseri umani, ma il cui lascito rappresenta molto più della semplice somma dei loro talenti.

Erano il secondo Novecento d’Italia, quei due. Raccontato in una sublime tragedia farsesca che oggi, con la morte delle carni di Fo, sarà definitivamente consacrata alla leggenda.

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