Mentre guardiamo, all’orizzonte del Mediterraneo, se gommoni di profughi sono in arrivo e, tra questi, qualche persona sospetta, nel cuore del Nord Italia, tra Piemonte e Lombardia, una ragazza nata a Milano, un’italiana doc dunque, si preparava a diventare “foreign fighter“.
Stiamo parlando di Lara Bombonati, 26enne, radicalizzata, desiderosa di combattere sul fronte siriano. La notte scorsa è stata fermata dalla Digos di Alessandria come “indiziata di delitto”: l’accusa manifestata è di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”. La giovane è stata prelevata da Tortona, dove abita con alcuni parenti, poi è stata trasferita nel carcere di Torino. Le accuse rivolte a lei e ad altri soggetti sono pesantissime: l’avvocato difensore d’ufficio, Nicoletta Masuelli, dice di non aver ancora “avuto modo di conoscere il contenuto degli atti e le contestazioni“, e afferma che ancora non le è stata comunicata la data dell’udienza di convalida.
L’inchiesta, coordinata da Armando Spataro, procuratore capo, e da Antonio Rinaudo, della procura di Torino, è stata svolta in collaborazione con la questura di Alessandria. La donna, forse in seguito a una relazione sentimentale, si è convertita e radicalizzata. Ha cominciato a frequentare alcuni maghrebini che l’avrebbero considerata idonea al gruppo Hayat Tahrir al-Sham, l’Organizzazione per la liberazione del Levante, nata pochi mesi fa dalla fusione di quattro gruppi minori. Inizialmente, la guida del gruppo era affidata a Hashim al-Sheikh (chiamato anche Abu Jabir), molto attivo ad Aleppo.
La giovane si sarebbe messa a disposizione dei “fratelli combattenti”. Secondo gli investigatori, questo è un segnale preoccupante: indica il livello di penetrazione, in Italia, della minaccia jihadista. Ma tutto è ancora da verificare, e serve cautela.
Già lo scorso aprile, era stato arrestato – dai carabinieri del Ros di Torino – Mouner El Aoual (chiamato anche Mido), un marocchino 29enne. Adottato da una famiglia italiana, da 9 anni teneva, all’insaputa della famiglia, una doppia vita, frequentando la periferia multietnica della città. “Mido” diceva di essere un “portavoce ufficiale dello stato islamico” e, attraverso i social network, istigava all’odio e condivideva il “notiziario del Califfato”.