Dopo una trimestrale non propriamente positiva quanto a prospettive, il fine settimana di Meta, ex Facebook Inc, si avvia a concludersi piuttosto male con una serie di problemi provenienti dalle istituzioni di mezzo mondo, dal suo interno, e da alcune statistiche sulla contraffazione. Il tutto nonostante il colosso di Menlo Park abbia ribadito il suo impegno contro le prese di posizione estremistiche.
La prima grana in quota Meta arriva ancora una volta dall’Europa, dopo che il vecchio Privacy Shield è stato invalidato da una sentenza della corte di giustizia europea rendendo impossibile il trasferimento di dati degli utenti continentali verso gli USA: nello specifico, di fronte alle passate minacce di Menlo Park di ritirare Facebook e Instagram dall’Europa, Robert Habeck, ministro tedesco dell’economia, e Bruno Le Maire, ministro francese delle finanze, hanno confermato – per esperienza personale – di aver comunque vissuto bene facendo a meno di Facebook e che il mercato europeo è così grande che, nel caso si dimostri in grado di agire in modo coeso, ha potere a sufficienza per affermare la sua autorità e resistere a uno scenario del genere.
Non stupisce, quindi, che a stretto giro Meta abbia corretto il tiro, spiegando che non esista alcun piano di ritiro dei suoi servizi dall’Europa ma che, in realtà, nel presentare il documento alla SEC, in quando società quotata in Borsa, ha dovuto far presente anche i semplici timori in merito al suo piano di business, invocando a chiare lettere l’adozione di “regole globali chiare, per proteggere i flussi di dati transatlantici“.
Sempre dall’Europa si addensano nubi anche sul metaverso. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea, Margrethe Vestager, nel corso di una videocall con alcuni editori tedeschi, ha dichiarato che, essendo in campo questa nuova dimensione della socialità, bisognerà analizzarla e, a seconda delle informazioni raccolte e dei fatti, stabilire quale sarà il ruolo dell’autorità di controllo e quali azioni più appropriate saranno da prendere in merito.
Anche in Australia. le cose non vanno bene. Sono passati 4 anni dallo scandalo Cambridge Anaytica, quando emerse che l’omonima società di consulenza aveva usato l’app “This is Your Digital Life” per profilare gli utenti con lo scopo di supportare campagne di comunicazione politica personalizzate. All’epoca Facebook Inc, oggi Meta, consapevole del problema, intervenne con colpevole ritardo, tanto da aver dovuto pagare serie multe in diversi parti del mondo, Italia compresa. La stessa cosa potrebbe capitare anche nella terra dei canguri, visto che è stato respinto l’appello presentato da Menlo Park, che asseriva non vi fosse stata raccolta di dati degli utenti locali, contro la causa avviata nel 2020 dal Garante della Privacy del Paese. Ora, tale procedimento legale potrà procedere con la conseguenza che, in caso di condanna, Meta potrebbe dover sborsare qualcosa come 1.7 milioni di dollari australiani.
Persino dall’interno dell’azienda stessa, si iniziano ad avvertire pericolosi spifferi. Di recente, l’Oversight Board, il comitato semi-indipendente di controllo posto a guardia delle decisioni assunte dall’azienda, ha chiesto a quest’ultima di modificare le regole anti-doxing, che attualmente permettono di pubblicare info personali, come l’indirizzo di residenza, nel caso siano già “pubblicamente disponibili“, stabilendo che su Facebook e Instagram in nessun caso siano pubblicabili. Le foto dell’esterno delle case, invece, potrebbero essere concesse solo se riguardassero le residenze ufficiali di capi di governo o di stato mentre, negli altri casi, andrebbero proibite se il proprietario fosse in qualche modo oggetto di proteste. In ogni caso, Meta dovrà attivarsi nel soddisfare, in modo celere ed efficace, le richieste di rimozione dei dati personali pubblicati. Non meno pesante si è rivelato poi il fatto che Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e nel CdA di Facebook Inc sin dal 2005, ha abbandonato la sua carica, a quanto pare per dedicarsi ad altri interessi (si dice di natura politica, in appoggio ai Repubblicani per le elezioni di midterm).
Sempre in tema di problemi, confermando un’analisi della società investigativa Kroll, secondo cui i falsari si sono spostati progressivamente da eBay ad Amazon e poi sulle piattaforme di Meta, un report dell’italiana Ghost Data ha evidenziato come ormai gli esperti in contraffazione adoperino i servizi social e di messaggistica di Menlo Park, in particolar modo Facebook (da Giugno a Ottobre 2021 oltre 26mila account truffaldini) e Instagram (più di 20.000 su Instagram), per vendere prodotti falsificati di grandi marchi del lusso, tra cui Gucci, Fendi, Louis Vuitton, Chanel e Prada. Molti degli account in questione, in seguito a un’inchiesta di Reuters, sono stati rimossi da Meta.
In compenso, Meta ha reso noto di aver portato anche in Pakistan e Regno Unito, la lodevole Redirect Initiative che, già in auge negli USA, in Australia, Indonesia, e Germania, in sostanza, quando un utente cerca contenuti di hate speech o violenti, lo reindirizza verso risorse che invitano ad approfondire una data questione in modo non pregiudizievole né fazioso. Infine, dal leaker Alessandro Paluzzi, è giunta l’indiscrezione secondo cui Facebook starebbe lavorando per consentire agli utenti di condividere anche sull’account Instagram i Reels generati invece sul social in blu.