L’emoji che ride sino alle lacrime è l’espressione più usata del 2015

Una ricerca condotta dalla casa editrice degli Oxford Dictionaries in collaborazione con Swifkey, la più famosa tastiera digitale del web, attesta che l'emoji che ride sino alle lacrime è l'espressione più usata nelle conversazioni 2.0 del nuovo millennio

L’emoji che ride sino alle lacrime è l’espressione più usata del 2015

Con la telematica si è tornato a scrivere come non mai. Il problema di tali forme comunicazionali consiste nel fatto che, rispetto a quelle audio, mancano del tono, elemento indispensabile per poter comprendere appieno il senso di quel che viene trasmesso. Almeno se non si vogliono ingenerare fragorosi equivoci. 

Per questo motivo, prima nel web e poi nelle messaggerie e nelle app, si sono introdotte prima le emoticons, segni di punteggiatura combinati per simboleggiare faccine espressive e, poi, di conseguenza, le emoji. Queste ultime, ricordiamolo, sono dei segni pittografici, utilizzati per esprimere diversi stati di animo e nati, sul finire degli anni 90, in Giappone (emoji significa, in base ai pittogrammi asiatici, immagine, scrittura, carattere). 

Le emoji si sono talmente diffuse che si è pensato di creare dei set di icone gay-friendly e multirazziali e di aggiungere anche il tanto discusso dito medio alzato.

Ebbene, secondo uno studio della Oxford University Press (la casa editrice del noto dizionario omonimo) in collaborazione con Swiftkey, l’azienda che sviluppa tastiere virtuali per Android e iOS, sembra che la parola dell’anno che meglio esprime gli stati d’animo e le preoccupazioni del 2015 sia quella della “faccina che ride con le lacrime agli occhi“. 

La faccina in questione, secondo i dati raccolti, sarebbe la più usata in tutto il bouquet complessivo degli smiley: nello UK tale simbolo primeggia con il 20% degli utilizzi mentre, negli USA, è poco sotto in termini percentuali (al 17%). Sempre nella medesima ricerca si evincerebbe come altri termini importanti, come il “Brexit” (l’uscita della Gran Bretagna dalla zona euro), e “rifugiato”, siano – però – siano collocate più in basso nella classifica dei termini usati nelle conversazioni digitali.

A seguire, poi, vi sarebbero termini di ambito più tecnico e informatico come “sharing economy” (economica dello scambio ispirata alle reti peer to peer), “deep web” (il web accessibile solo tramite TOR), ed “ad blocker” (tool che blocca la pubblicità online).

Il motivo di un tale successo, per il mondo “emoji”, è da attribuirsi – secondo Casper Grathwohl, responsabile dei Dizionari Oxford – al fatto che questi simboli, purtroppo non includibili in un comune dizionario, sono molto flessibili e immediati nell’esprimere le preoccupazioni culturali dei tempi attuali. Certo più delle comuni parole.

Ecco, quindi, il motivo di questo riconoscimento che, d’altronde, non giunge del tutto inaspettato. Ricordiamo, conclude Grathwohl, che Hillary Clinton – candidata a rappresentare i Dem alle Presidenziali USA del prossimo anno – ha risposto alle domande di alcuni giovani online facendo largo uso degli emoji e che il tennista Andy Murray, nel giorno delle nozze, ha fatto la cronistoria della giornata proprio a suon di emoji. Risultando, per altro, molto chiaro…

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