Anche nel giro di boa della prima settimana marzolina, Facebook è riuscita a far parlare di sé, nonostante la presentazione di tanti dispositivi innovativi, e svariati aggiornamenti di applicazioni: la piattaforma social più popolata al mondo, infatti, ha rilasciato una novità per commemorare le persone scomparse ma, allo stesso tempo, è stata di nuovo beccata “con le mani (digitali) nella marmellata (degli altrui dati personali)”.
Ormai un decennio fa, era il 2009, Facebook – già molto popolare – risolse il problema degli utenti deceduti, i cui profili erano ancora attivi, trasformando questi ultimi in “account commemorativi“: ora, a distanza di tutto questo tempo, secondo quanto scoperto da TechCrunch, e confermato dallo stesso social tramite la sezione di Facebook deputata all’assistenza, proprio ai profili commemorativi si torna a mettere mano, quanto meno a partire dagli Stati Uniti, tramite una nuova sezione, volta a rendere omaggio alle persone scomparse.
Si tratta, nello specifico, dell’area “Tributi” che, sostanziata in una bacheca parallela e alternativa a quella ufficiale del profilo commemorativo, permetterà all’account erede di accettare le richieste di amicizia giunte, di moderare i contributi rievocativi, di restringerne il pubblico, di rimuovere i tag inopportuni, e di variare persino l’immagine del profilo o della copertina di quest’ultimo.
Nel contempo, la medesima location consentirà agli altri utenti di postare aneddoti, commemorare il compleanno del caro estinto, attraverso l’apposizione di tag speciali che, puntando al profilo commemorativo, bipasseranno la comune Timeline dello stesso, apparendo direttamente nella sezione Tributi.
Messa da parte la nuova funzionalità, è di nuovo tempo di polemiche per Facebook, a causa di un rapporto pubblicato dall’organizzazione no-profit britannica Privacy International. Secondo l’ente, che si occupa del rapporto tra nuove tecnologie e diritti umani, nonostante quanto emerso lo scorso Febbraio, vi sarebbero ancora molte applicazioni che invierebbero – in modo non autorizzato – i dati degli utenti a Facebook, a scopo di targeting pubblicitario, anche nel caso gli internauti non siano mai stati iscritti al social.
A quanto pare, le (non meglio identificate) informazioni trasmesse comprenderebbero dati generali, come le abitudini d’uso delle app (quante volte vengono aperte o chiuse) che, però, incrociate con advertising ID univoco di Google, permetterebbe un vero e proprio stalkeraggio nei confronti dell’utente, attraverso l’immensa pletora di servizi di cui è in possesso il gruppo di Menlo Park.
Privacy International ha fatto sapere che alcune di quelle analizzate riguardano applicazioni mussulmane per la preghiera (due), ma anche app riguardanti la Bibbia, piattaforme per le recensioni (Yelp), o per l’apprendimento linguistico (come Duolingo, che si è detta in procinto di sospendere la pratica incriminata).