Facebook, il noto social network in blu, nelle scorse è risultato coinvolto in polemiche riguardanti il diritto all’aborto da poco messo a dura prova, a livello federale, negli Stati Uniti.
Da qualche giorno, la Corte Suprema americana ha ribaltato una sentenza di tribunale negli USA, sostanzialmente proibendo a livello federale il diritto all’aborto che, però, ogni singolo Stato americano può, volendolo, preservare. Come conseguenza di tale provvedimento, sono stati segnalati dei curiosi episodi a carico del gruppo Meta. Innanzitutto, secondo The Markup, che ha citato un’indagine condotta congiuntamente dal Center for Investigative Reporting e da Reveal, su pressappoco 2.500, ben 2.94 centri d’assistenza alle gravidanze avrebbero condiviso con Meta informazioni sugli utenti che le visitano, quali le ricerche sui test di gravidanza, i contraccettivi, e l’eventuale propensione all’aborto.
Meta, intervenuta sulla questione, ha spiegato che i dati sensibili degli utenti sono filtrati automaticamente dai suoi sistemi, che viola le regole dell’azienda e dei suoi tool il condividere informazioni del genere, sebbene non sia chiaro se i dati in questione ricevuti siano stati mai utilizzati in qualche modo, ad esempio per una qualche attività di profilazione.
Ancora il tema del diritto all’aborto, si è rivelato scottante, per Meta, con diversi utenti che hanno segnalato qualcosa poi confermato anche dai test condotti dai redattori di Vice, Associated Press ed NBC News, secondo cui diversi post ove utenti si proponevano di aiutare ad abortire inviando per posta “pillole abortive” sono stati rimossi dopo pochi istanti dalla loro pubblicazione, portando in taluni casi anche a una sospensione di 24 ore dell’account inviante.
In questo caso Meta, pur precisando che vi siano stati alcuni episodi di errori nella relativa applicazione (anche su Instagram, con l’applicazione dello scudo per i contenuti sensibili), ha spiegato che non vi è stato alcun cambiamento sulla sua policy riguardante i servizi o i beni soggetti a restrizioni. Nello specifico, vien fatto divieto di pubblicare contenuti sulle transazioni (vendita, scambio, acquisto) di farmaci da prescrizione, a meno che non provengano da “legittime attività di e-commerce sanitario che offrono la consegna“.