Facebook: precisazioni contro il NYT, causa legale negli USA, dossier del Congresso, inchiesta tedesca

Facebook, nel corso degli ultimi giorni, è finito nuovamente nel mirino di istituzioni e grossi media d'oltreoceano ma, nel contempo, anche di una security house tedesca: sempre, ovviamente, a proposito della non protezione dei dati degli utenti.

Facebook: precisazioni contro il NYT, causa legale negli USA, dossier del Congresso, inchiesta tedesca

Facebook, il social da oltre 2 miliardi di iscritti, non riesce ad uscire dalle sabbie mobili delle polemiche, con nuovi problemi in arrivo dai media e le istituzioni degli Stati Uniti, ed altri che provengono dalla Germania: il tutto con conseguenze piuttosto pesanti sul patrimonio personale di Mark Zuckerberg. 

In seguito all’ultima inchiesta del New York Times, secondo la quale Facebook avrebbe ceduto, senza autorizzazione, i dati ed i messaggi privati degli utenti a più di 150 grandi aziende hi-tech, da Menlo Park sono arrivati ulteriori chiarimenti, tramite un post sulla NewsRoom ufficiale del gruppo. Secondo Zuckerberg, gli accordi citati dal quotidiano della Grande Mela riguardavano alcune funzioni sperimentali ormai cassate da 3 anni, finalizzate a consentire agli utilizzatori di alcune app, tra cui Spotify e Netflix, di poter sfruttare Messenger per comunicare, magari inviando suggerimenti, con i propri amici su Facebook. Essendo tali feature frutto di una lunga negoziazione, ed adeguatamente documentate, ne consegue sia che le aziende coinvolte non potevano non sapere di tale integrazione, e che gli utenti – per poterle  adoperare – dovevano necessariamente fornire il loro consenso. Come a dire che non solo la gente sapeva quel che accadeva ma che, se di colpa si è trattata, quest’ultima era condivisa. 

Tutto risolto? Niente affatto. Nuove grane arrivano dagli USA: innanzitutto, al Congresso degli Stati Uniti, ove un senatore ha persino chiesto un provvedimento contro le piattaforme digitali (includendo nel novero anche Google e Twitter), sono stati depositati due rapporti sul tema della disinformazione. In uno dei dossier viene spiegato il ruolo di Facebook nella propagazione delle fake news in occasione delle Presidenziali del 2016, evidenziando come dei prestanome abbiano comprato, sul social, pubblicià mirate ai non bianchi nelle quali si rendeva verosimile che la candidata democrativa Hillary Clinton avesse ricevuto sovvenzioni dal movimento xenofobo Ku klux klan.

Oltre a ciò, sempre da oltreoceano giunge la notizia di una causa legale intentata contro Facebook in seguito all’affaire Cambridge Analytica. A portarla avanti è Karl A. Racine, procuratore generale del distretto della Columbia (grosso centro urbano della Carolina del Sud), il quale sostiene che Facebook abbia fallito nel proteggere i dati degli utenti, essendone consapevole da almeno un paio d’anni, permettendo ad una società di consulenza politica di poterli usare per esporre più o meno la metà dei suoi concittadini alla disinformazione messa in atto per le consultazioni del 2016. Quello che il procuratore chiede, oltre a pene non precisate, è un risarcimento per le “vittime” e, soprattutto, che Facebook metta in campo seri provvedimenti e protocolli per vigilare attivamente sui dati degli utenti, rendendo più semplice a questi ultimi il controllo delle loro impostazioni in tema di privacy. Proprio i due campi nei quali il comportamento morbido di Facebook avrebbe creato quelle zone d’ombra in base alla quale, in seguito, talune app di terze parti avrebbero potuto far man bassa di dati personali senza chiedere il consenso ai diretti interessati. 

Se ancora non fosse abbastanza, nuove rivelazioni giungono grazie alla security house tedesca Mobilsicher, secondo la quale Facebook raccoglierebbe, a scopo targettizzazione, diversi dati (profilo sanitario o di dating, credenze religiose) da app salutistiche (Pregnancy + e Migraine Buddy), religiose (Bible + e Muslim Pro), e di appuntamenti (Grindr, Tinder, e OKCupid), offrendo alle aziende che le sviluppano sia statistiche sull’utilizzo delle app, che il log-in tramite l’account di Facebook. Con le informazioni raccolte, le pubblicità mirate sarebbero la diretta conseguenza (es. chi usa Pregnancy + vedrebbe, sul social, spesso inserzioni di prodotti per la maternità). In più, Facebook continuerebbe a farlo anche nel caso l’utente avesse disattivato l’opzione per le pubblicità mirate basate sui dati raccolti da siti, servizi ed app di terze parti, dacché tale controllo disabiliterebbe solo l’uso dei dati in questione, e non anche la loro raccolta.

Con tali assunti, forse non è una sorpresa apprendere, dalla classifica dei 500 uomini più ricchi del mondo, la Bloomberg’s Billionaire Index, che quello ad aver perso di più durante l’anno, con un calo di 19 miliardi di dollari nel patrimonio, sia stato proprio Mark Zuckerberg che, controllando il 13% delle quote azionarie del social, ha patito non poco i rovesci degli ultimi mesi. 

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