I governi spiano gli smartphone di giornalisti e attivisti

Sono coinvolti decine di paesi che utilizzano un potente software sviluppato in Israele per spiare terroristi e criminali, secondo i documenti analizzati da diversi giornali internazionali.

I governi spiano gli smartphone di giornalisti e attivisti

Viene denominata “Pegasus Project” l’inchiesta pubblicata dal Washington Post, secondo cui gli smartphone in tutto il mondo di giornalisti e attivisti dei diritti umani siano spiati da un potente software israeliano, già emerso nel 2019 come aggressivo ai danni di WhatsApp: l’inchiesta Forbidden stories è capitanata da Amnesty International, secondo cui ci sarebbe stato un tentativo su 36 smartphone di installare lo spyware con scarsi risultati, con 23 tentativi andati invece buon fine.

Si tratta di smartphone di proprietà di Apple e Android, nonostante i due siano sicuri sull’installazione di malware di terze parti. Le indagini hanno inoltre permesso di risalire tramite i numeri di telefono nella lista a un migliaio di persone in 50 paesi diversi. Si tratterebbe di famiglie reali saudite, dirigenti di azienda, funzionari governativi e giornalisti.

I giornalisti fanno parte delle più importanti testate giornalistiche internazionali come Al Jazeera, New York Times; Apple e Google attraverso gli aggiornamenti assicurano che non ci sono falle nel sistema, ma questo spyware riesce ad aggirarle. Al malcapitato arriva un innocuo sms dal proprio operatore che rimanda ad un link attraverso il quale si installa il software, a propria insaputa. A questo punto si ha accesso a tutti i dati del cellulare, social network, conversazioni private, e-mail, foto e video, di modo che lo spyware raccolga quante più informazioni possibili.

È stato messo sotto inchiesta il sistema Pegasus da molte testate giornalistiche internazionali, anche se sembra che non violi la libertà individuale, concentrandosi sul tracciamento di criminali e, soprattutto, di giornalisti e attivisti. Pegasus fu utilizzato per provare a spiare due donne in stretti rapporti con Khashoggi, giornalista che aveva condotto inchieste e scritto editoriali molto duri nei confronti della famiglia reale saudita sul Washington Post. 

Molti numeri tenuti sotto controllo sono messicani, tra cui quello di Carmen Aristegui, tra le più importanti giornaliste investigative del Messico e collaboratrice di CNN. È probabile che nelle prossime settimane i 17 giornali coinvolti nell’analisi dei dati raccolti dall’inchiesta pubblichino nuove informazioni.

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