Al momento, Telegram ha quasi 500 milioni di iscritti attivi e sta puntando a raggiungere il miliardo. A questo punto, il suo fondatore Pavel Durov però inizia a rendersi conto che supportare il progetto con sovvenzioni dirette è quasi impossibile, perché si tratta di centinaia di milioni di dollari ogni anno. Sembra il solito percorso di tanti altri servizi online, visto che negli ultimi mesi ci sono stati parecchi casi analoghi, come le piattaforme di streaming.
È stato però messo in chiaro come non si tratti di una vendita del servizio, come è successo ai fondatori di WhatsApp, visto che Telegram continuerà a restare indipendente e a mantenere fede alla propria integrità, fattori impossibili se si deve condividere il controllo della piattaforma con altre società. Fino ad ora, infatti, Telegram si è sempre distinto per una politica molto rigida di non ingerenza, che lo ha fatto apprezzare da moltissimi utenti.
Arrivano le pubblicità?
Secondo Durov, inoltre, Telegram non è un progetto destinato a concludersi, ma è soltanto all’inizio. Dopo tante belle parole, però, ha anche aggiunto che dall’anno prossimo il servizio inizierà a generare profitti e non appare molto chiaro come intenda farlo. Anche se non viene detto esplicitamente, con ogni probabilità si tratta di introdurre la pubblicità, ma tra le righe si intuisce come le chat e gli altri servizi come i gruppi dedicati alla messaggistica resteranno completamente ad free, cioè senza spot.
Che cosa riserva quindi il futuro per gli utenti di questa piattaforma? Saranno d’accordo nel veder comparire canali e gruppi, per così dire speciali, in cui compaiono spot, spesso del tutto incompatibili come contenuti con il mood dei dibattiti? Ma, soprattutto, chi paga per gli spot come potrà controllare di non finire nel gruppo sbagliato, col rischio di trovarsi in mezzo a scandali, come successo non molto tempo fa, con la chiusura di ambienti al limite?
Un nuovo servizio
Da quanto si riesce a capire, Telegram aprirà all’interno del suo network una piattaforma nuova ed è lì che saranno ospitati i servizi con pubblicità, probabilmente sostituendo il sistema un po’ al limite con cui tanti amministratori di gruppi introducono come messaggi, apparentemente del tutto leciti per quanto riguarda le politiche del servizio, ma che in realtà sono semplicemente degli spot pubblicitari neanche troppo mascherati.
Bisogna però vedere se il meccanismo funziona, oppure se non ucciderà il servizio come successo per MySpace e Facebook, ben lontani dai fasti del periodo pre ad-on. Non è poi detto che il pubblico regga all’ennesima sfilza di spot, chiudendo gli account molto rapidamente per il timore di perdere contatti e contenuti, se il gruppo finisse per essere bannato per la volontà di qualche manager non troppo sveglio che cerca di preservare il proprio brand.
Più spazio per tutti
A quanto sembra, il servizio di Telegram dovrebbe semplicemente evolversi per intercettare senza filtrarli spot e pubblicità, ricompensando anche direttamente i gestori dei gruppi e dei canali di successo, i creators e le strategie di marketing, e puntando principalmente sul numero per incidere il meno possibile sulla sensazione di libertà che gli utenti hanno su questo servizio.
Più spazio per tutti significa di solito che chi paga ottiene posizioni, come ovvio in un sistema di mercato, e Telegram potrebbe trasformarsi in un bazar insopportabile con centinaia di migliaia di spot chiusi in contenitori e tutti gli utenti che se ne stanno fuori, determinando di conseguenza il crollo del network. Il pubblico che sceglie l’app, spesso lo fa perché è un ambiente poco controllato e la fuga di alcuni potrebbe causare il crollo di molti spazi.
Un futuro roseo?
Risulta che ci saranno alcune funzionalità a pagamento, che vanno a integrare quelle attuali che invece resteranno sempre gratuite. Al momento, gli indizi sono troppo pochi per capire come si evolverà il sistema, considerando anche che Telegram è un servizio che proviene dalla Russia dove le regole sono molto differenti rispetto ad altri paesi. Il problema è che gran parte della pubblicità, in realtà, viene fuori dalle parti del mondo che potrebbero rendere molto più difficile del previsto il percorso verso la fatturazione di centinaia di milioni di euro annui, necessari per continuare a mantenere il servizio.
Il problema è che al momento il mercato non è molto stabile e non ci vuole tanto perché enormi fette di pubblico si spostino su servizi praticamente sconosciuti quasi da un giorno all’altro, perché stiamo vivendo in un periodo dominato dagli influencer e questi a qualcosa servono. Bisogna sempre stare molto attenti a come ci si muove nel grosso mercato dell’informatica moderna, senza dubbio molto più di qualche anno fa.