Terapia domiciliare Covid-19, il gruppo di medici che aiuta gratuitamente i malati a domicilio

Ormai hanno superato i centomila iscritti. Sono diventati il faro di molti pazienti sintomatici affetti dal Covid, abbandonati al loro destino. La storia del gruppo Terapia domiciliare Covid19, che ha ottenuto la riabilitazione della idrossiclorochina.

Terapia domiciliare Covid-19, il gruppo di medici che aiuta gratuitamente i malati a domicilio

Contatto medico paziente avvenuto”. Ogni qualvolta, queste poche parole vengono pubblicate, per l’avvocato Erich Grimaldi – ideatore del gruppo Facebook #TerapiadomicilioareCovid19 – è come vincere in tribunale. Grimaldi, del Foro di Napoli, nel corso della prima ondata pandemica, fonda nel mese di marzo 2020 il gruppo Facebook #esercitobianco.

Attraverso una serie di dirette live, crea un network di medici del territorio, presenti in ogni regione. Lo scopo è quello  di ottenere una condivisione delle terapie attuate, in un contenitore unico di informazioni, con l’obiettivo di poter chiedere al Ministero della Salute un protocollo univoco, a disposizione della medicina territoriale, senza discriminazioni sulle cure tra le regioni, per agire in scienza e coscienza ai primi sintomi.

Nasce così successivamente Terapia domicilioare Covid19. Ma quali sono le ragioni del successo di un gruppo di questo genere, che ormai ha superato i centomila iscritti? Innanzitutto vi prendono parte numerosi  medici ed infermieri, professionisti che nulla hanno a che fare con l’universo no-vax, ai quali si sono aggregati psicologi, dietisti e farmacisti che addirittura reperiscono le bombole di ossigeno. Il regolamento interno è molto rigido.

Le richieste di supporto terapeutico devono essere eseguite esclusivamente dai medici (in privato) e sono smistate dai moderatori. Sono diventati un punto di riferimento di pazienti positivi sintomatici in tutta Italia. Centinaia di persone che, sentendosi abbandonate dai territori, trovano conforto ed assistenza a distanza dai medici, contribuendo ad una riduzione delle ospedalizzazioni.

Camici bianchi che hanno rischiato procedimenti disciplinari perché rivendicano la libertà prescrittiva, malgrado le loro prestazioni siano assolutamente gratuite. Ritengono che il protocollo domiciliare ufficiale (tachipirina e vigile attesa) non sia sufficiente e rischioso per molti. “Questo protocollo tutela i medici non il paziente” affermano. Così definiscono uno schema terapeutico per la cura domiciliare del Covid19, condiviso da medici statunitensi come Harvey Risch e Peter A. McCullough.

I malati aumentano e anche i post di ringraziamento come questo: “Volevo ringraziare il dott FG per aver assistito mio padre affetto da COVID. Anche noi lasciati a casa con solo Tachipirina e 1000 patologie da gestire. E quando la situazione iniziava a peggiorare è stato il nostro angelo. Oggi finalmente negativo siamo felici di far parte di questo gruppo fantastico. Grazie!  auguro a tutti una pronta guarigione!”.

Nel frattempo il  Consiglio di Stato, lo scorso 11 Dicembre, riabilita l’uso off-label della idrossiclorochina, accogliendo  le indicazioni dell’avvocato Grimaldi. Nella sentenza si dichiara che non vi è  ragione sufficiente, sul piano giuridico, a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale. Consentita la prescrizione, sotto precisa responsabilità e dietro stretto controllo del medico.

Tutto ciò sembra non aver scalfito l’ostracismo di una parte della comunità medico-scientifica nei confronti di colleghi che cercano approcci terapeutici alternativi. “Eppure- scrivono alcuni medici, soprattutto i più giovani – se a Codogno avessero rispettato il protocollo, quel tampone che individuò il paziente zero non ci sarebbe mai stato”.

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