Le malattie veneree colpiscono prevalentemente le donne, specialmente quelle in stato di gravidanza, ma negli ultimi anni è stata registrata un’impennata di contagi anche tra i giovanissimi: sono questi i risultati di uno studio promosso dal Centro operativo Aids (COA), dall’Istituto superiore di sanità e dal Gruppo di lavoro infezioni sessualmente trasmesse dell’Associazione microbiologi clinici italiani.
La ricerca in questione ha avuto una durata quadriennale, essendo stata condotta dal 1° Aprile 2009 al 31 Dicembre 2013, ed ha preso in esame un enorme campione composto da ben 93.403 esami raccolti in 134 differenti laboratori di Microbiologia clinica. L’età media dei soggetti presi in esame era di 34 anni per le donne (la cui rappresentanza ha toccato l’87,7% del campione totale, praticamente quasi la totalità degli esami appartenevano a pazienti femmine) e 37 anni per gli uomini.
L’85% degli esami proveniva da pazienti italiani, mentre il 15% da stranieri, il 60% dei quali proveniva da Paesi interni all’Europa; tra gli extracomunitari i più rappresentati sono stati gli africani con il 19% dei campioni totali, quindi gli americani (11,2%) ed infine persone provenienti da Asia ed Oceania (9,1%). Dalla ricerca è emerso che i giovani e le donne, specialmente quelle in gravidanza, sono i soggetti più a rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili.
Tra abitudini sociali che mettono più a rischio di rimanere infetti dalle patologie legate al sesso, vi sono in cima alla lista l’abuso di alcool, e la tendenza ad avere partner multipli. Il segnale d’allarme maggiore, tuttavia, è rappresentato dall’asintomaticità: è stato infatti rilevato che quasi il 50% delle persone contagiate, non accusa i sintomi della malattia, e può pertanto essere completamente ignara del suo stato di salute.
Pierangelo Clerici, Presidente Amcli, ha parlato così della correlazione tra sesso e infezioni: “Le malattie sessualmente trasmissibili rappresentano un problema ormai di rilevanza sociale vista la diffusione nella popolazione. La riduzione dell’attenzione sui possibili rischi di patologie di questo tipo, dovuta nel tempo al diluirsi dell’impatto mediatico dell’Aids grazie alle terapie che oggi consentono al paziente non più di sopravvivere, ma di vivere, ha fatto sì che venissero abbandonati quei sistemi di prevenzione che negli anni erano cresciuti, come ad esempio l’utilizzo del preservativo”.