Si chiama Semaforina3E, chiamata anche SEMA3E, la molecola che, secondo uno studio italiano, sarebbe responsabile dell’ingresso di ogni individuo nella fase della pubertà. Il ruolo di questa molecola si era già rivelato fondamentale nello sviluppo dei vasi sanguigni, ma adesso si scopre una nuova vitale funzione.
Una ricerca made in Italy, che ha voluto adottare un approccio multidisciplinare, vedendo il gruppo guidato da Anna Cariboni, dell’Università di Milano, collaborare con il team londinese di Christiana Ruhrberg, ha potuto osservare come questa molecola, finora mai associata allo sviluppo sessuale, consenta invece la sopravvivenza dei neuroni che liberano l’ormone di rilascio delle gonadotropine o GnRH, una famiglia di ormoni che vanno poi ad attivare le trasformazioni proprie della pubertà. Pare infatti che la SEMA3E protegga questi neuroni durante la migrazione delle relative cellule nervose dal compartimento nasale del feto alle strutture cerebrali ipotalamiche.
L’assenza di questa molecola può essere quindi responsabile di tutta una serie di patologie e disturbi, derivanti dalla morte prematura dei neuroni in questione, e la conseguente interruzione della catena fisiologica che porta, una volta entrati nella pubertà, alla stimolazione delle cellule che producono il testosterone e alla formazione dei tubuli seminiferi. Tra queste disfunzioni si trova la Sindrome di Kallman, caratterizzata da un mancato o ridotto sviluppo dei testicoli (ipogonadismo), che può causare sterilità, e dalla perdita parziale o totale dell’olfatto (disosmia o anosmia).
Un problema caratterizzante questi disturbi consiste nella difficoltà di identificarle nella loro fase iniziale, in tempi utili per la diagnosi e il trattamento, ritardando di conseguenza l’ingresso nella fase puberale.
Considerata poi la natura genetica di queste patologie, questo studio riveste un ruolo cruciale per dare il via ad ulteriori e più approfonditi studi per comprendere meglio le forme di sterilità maschile e le cause di dette malattie a livello genetico e molecolare.
Nella speranza e ottimismo generali, sia all’interno della comunità scientifica che al suo esterno, questa ricerca potrebbe quindi rappresentare un punto di svolta per cambiare in meglio la vita di chi è già affetto da questa sindrome, ma anche per identificarla in tempo e prevenire l’insorgenza dei sintomi. Certo, la strada è ancora lunga, ma si sa, ogni cammino, breve o lungo che sia, inizia con un passo alla volta.