L’Università di Modena ha presentato uno studio basato sulla relazione tra fertilità femminile ed inquinamento atmosferico al meeting dell‘European Society of human reproduction and embryology. Precedentemente (2017) era già stato evidenziato un rapporto negativo tra inquinamento atmosferico e fertilità maschile.
Il team di studio è stato guidato da Antonio La Marca; le analisi si sono concentrate sui livelli dell’ormone antimulleriano (AMH) il quale viene prodotto dai testicoli nell’uomo, e dai follicoli nelle donne.
I livelli dell’ormone, nelle donne, indicano il numero di ovociti prodotti che possono essere fertilizzati. Questi dati dipendono da età (dopo i 25 anni il numero di ovociti inizia a scendere), fattori genetici, stili di vita, tabagismo e – si ipotizza – inquinamento.
La ricerca ha effettuato analisi su oltre 1300 donne residenti a Modena in un arco di 10 anni (dal 2007 al 2017): durante quest’arco temporale sono state ricavate informazioni sui livelli di polveri sottili e sul diossido di azoto presenti nell’area delle abitazioni delle donne sottoposte al test (la pianura padana è considerata la zona più inquinata d’Europa per i livello di diossido di azoto).
Il team di esperti ha notato che i livelli di AMH erano inferiori nelle donne residenti nelle aree maggiormente inquinate rispetto a chi abitava nelle aree poco inquinate. Le donne residenti nell’area più inquinata avevano livelli di AMH inferiori a 1 ng/ml (cioè una riserva ovarica molto bassa che si manifesta su 1 donna su 10 di età superiore a 30 anni).
Una bassa riserva ovarica, però, non indica difficoltà a concepire ma potrebbe indicare l’arrivo precoce della menopausa. Lo studio, inoltre, non ha dato risultati precisi poiché non sono stati presi in considerazione fattori come povertà o salute cagionevole. Per un risultato più accurato sarebbe stato opportuno misurare i livelli di smog respirati direttamente dalle donne (ciò che non è stato possibile effettuare).