Lavorare troppo nuoce alla salute: rischio di ictus e malattie croniche

Nella ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Lancet, si legge che lavorare per più di 55 ore alla settimana può portare all'ictus e a malattie croniche.

Lavorare troppo nuoce alla salute: rischio di ictus e malattie croniche

Il 28 aprile si celebrerà la Giornata Mondiale per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, istituita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) per aiutarci a ricordare che il lavoro fa bene, ma quando è troppo nuoce alla salute e va ridimensionato. Uno studio pubblicato sulla rivista Lancet e ripreso dalla CBS, dimostra che un lavoro da stacanovisti, più di 55 ore la settimana, può far aumentare del 27% il rischio di un ictus e del 13% il rischio di sviluppare una malattia cronica.

Il termine stacanovismo è stato formulato dal cognome di Aleksej Stachanov, il minatore russo diventato un modello nell’URSS negli anni ’30 per la sua resistenza nel lavoro, morto poi d’infarto. In caso di troppo lavoro, non è solo il cuore a risentirne, ma altri sintomi poco piacevoli come l’insonnia, la depressione e altri problemi premono facilmente sulla salute.

Le cause che portano a questo malessere sono molteplici: i ritmi di lavoro prolungati, la preoccupazione di essere i migliori, la fatica di superare i ritorni negativi sull’operato con il timore che la carriera venga interrotta sfumando così ogni sogno.

La prima Master Certified Coach in Italia, Marina Osnaghi ha spiegato che “La realtà del lavoro è cambiata: oggi il modo di giudicare una buona performance non è uguale a com’era ieri”, come si legge in “lastampa.it“, anche i tempi per raggiungere gli obiettivi sono diversi, Osnaghi parla di “azioni fulminee, decisioni veloci” spesso “veicolate con poche informazioni che però devono essere efficaci e ponderate”. Il lavoratore è stretto tra “le aspettative e la paura delle intelligenze artificiali che sostituiscono l’operato dell’uomo” due fattori di cui tener conto perché il lavoratore rischia di sentirsi, d’improvviso, obsoleto.

Secondo Osnaghi sono necessari “spazi di decompressione, iniziando dalle piccole cose, come smettere di mangiare di fronte al pc o non pranzare affatto” per risolvere la questione. Sono questi i primi passi per arrivare a più grandi cambiamenti come quello di “imparare a convivere con la pressione dei nostri tempi, riuscendo a commutare la velocità e il caos da anomalia a normalità“.

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