La peste suina africana colpisce solo suini domestici e selvatici

Nonostante la gravità del malanno per i suini, è importante sottolineare che il virus non si trasmette all'uomo, quindi non rappresenta un rischio diretto per la nostra salute.

La peste suina africana colpisce solo suini domestici e selvatici

La peste suina africana (PSA), nota anche con l’acronimo inglese ASF (African Swine Fever, è un malanno infettivo altamente contagiosa che colpisce i suini, sia maiali domestici che cinghiali selvatici. La patologia è causata dal virus della peste suina africana (ASFV), un agente virale a DNA appartenente alla famiglia Asfarviridae e al genere Asfivirus. Come spiegato dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie (IZSV), il virus è estremamente pericoloso per i suidi ma totalmente innocuo per l’uomo. Ciò significa che, anche in caso di contatto diretto con animali infetti o consumo di carne proveniente da suini contaminati, non vi è alcun rischio per la salute umana.

Tuttavia, le implicazioni economiche e sociali della diffusione del virus possono essere gravissime, soprattutto per l’industria suinicola.In Italia, la PSA è presente dal 1978, ma fino al 2022 è stata limitata alla Sardegna. Dall’inizio di quell’anno, sono stati segnalati focolai anche nel Nord e Sud del Paese, in particolare in Piemonte, Liguria, Lombardia e Calabria. La trasmissione del virus avviene principalmente attraverso il contatto diretto tra animali infetti e sani, oppure indirettamente tramite oggetti contaminati (come attrezzi da lavoro, abiti o veicoli che entrano negli allevamenti).

Il virus può persistere a lungo nelle carcasse di animali deceduti o in prodotti suini non adeguatamente trattati, come i salumi. Nonostante non ci siano rischi per la salute umana, il virus rappresenta una minaccia significativa per l’economia, soprattutto per il commercio internazionale dei prodotti suini.Il malanno può manifestarsi in diverse forme acuta, subacuta o cronica  ma la forma acuta è la più distruttiva, con una causa di decessi che arriva fino al 70% degli animali infetti, e spesso il decesso sopraggiunge entro pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi. Questi includono febbre alta, perdita di appetito, difficoltà respiratorie, vomito, diarrea sanguinolenta ed emorragie visibili sulla pelle, soprattutto su orecchie e fianchi.

Non esistono vaccini o trattamenti specifici per curare la peste suina africana, il che rende necessarie misure drastiche come l’abbattimento degli animali infetti per prevenire ulteriori contagi. Attualmente, la PSA è diffusa in diverse regioni italiane. Al 3 settembre 2024, sono attivi 24 focolai in Italia, di cui 18 in Lombardia, 5 in Piemonte e uno in Emilia-Romagna. Il Commissario straordinario per la PSA, Giovanni Filippini, ha confermato che l’Italia sta affrontando un’ondata epidemica che, sebbene non disperata, è comunque preoccupante per i danni economici e il rischio per la filiera agroalimentare. Secondo stime di Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi), i blocchi imposti sulle esportazioni di prodotti suini dall’inizio della diffusione del virus nell’Italia continentale hanno generato perdite comprese tra i 20 e i 30 milioni di euro al giorno, accumulando danni per oltre mezzo miliardo di euro.

Il problema è aggravato dall’assenza di un vaccino efficace contro il virus. La peste suina africana, come suggerisce il nome, ha origine nell’Africa subsahariana, dove è stata identificata per la prima volta circa un secolo fa. Dopo decenni di relativa diffusione limitata, negli anni ‘70 il virus si è diffuso in Europa, e più recentemente in altre aree del mondo, compresi i paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia. La diffusione è facilitata dai movimenti di animali infetti, prodotti suini contaminati e scarti alimentari non gestiti correttamente. Le autorità sanitarie italiane ed europee hanno implementato rigide norme di biosicurezza per contenere la diffusione del malanno.

Tra queste misure vi è il divieto di importazione di prodotti a base di carne suina provenienti da aree infette, l’obbligo di disinfestazione dei veicoli che transitano negli allevamenti e l’isolamento degli animali infetti. Un altro fattore di rischio è rappresentato dai cinghiali selvatici, che possono avvicinarsi alle aree antropizzate e facilitare la diffusione del virus. Anche se il virus non rappresenta una minaccia per l’uomo, i suoi effetti sul settore suinicolo possono avere conseguenze distruttive, sia per l’economia che per la sicurezza alimentare. Il problema è reso ancor più complesso dalla difficoltà di individuare rapidamente il malanno, poiché in alcuni casi gli animali infetti possono non manifestare sintomi evidenti fino a poco prima del decesso. Questo rende essenziale l’implementazione di misure di sorveglianza e prevenzione rigorose per proteggere il patrimonio suinicolo del Paese e limitare l’impatto del malanno. 

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