L’influenza K, nuova variante del virus A/H3N2, è già arrivata in Italia e sta contribuendo a un’ondata influenzale più intensa e precoce del previsto, ma non si tratta di un “nuovo virus”, bensì di una mutazione che mantiene le caratteristiche tipiche dell’influenza stagionale. Gli esperti, tra cui il virologo Fabrizio Pregliasco, invitano a riconoscerla per tempo osservando la combinazione di febbre alta, sintomi respiratori e marcato malessere generale, senza però cedere agli allarmismi.
Che cos’è l’influenza K
Con “influenza K” si indica un sottoclade del ceppo A/H3N2 che l’Organizzazione mondiale della sanità descrive in rapido aumento a partire dall’agosto 2025. È stata definita un “super ceppo” per il numero molto elevato di casi registrati, ma gli studi disponibili indicano che la gravità della malattia e l’efficacia dei farmaci antivirali restano sovrapponibili a quelli delle stagioni precedenti. In pratica, si tratta di un virus influenzale che ha acquisito mutazioni capaci di eludere parzialmente le difese immunitarie, risultando più contagioso e in grado di colpire anche chi ha già avuto l’influenza o è vaccinato, pur continuando a provocare un quadro clinico riconducibile all’influenza classica.
Sintomi caratteristici e durata
I sintomi dell’influenza K restano quelli tipici dell’influenza: febbre che compare bruscamente, spesso alta sopra i 38–39 gradi, accompagnata da brividi, forte spossatezza, dolori muscolari e articolari, mal di testa e mal di gola. A questi si associano disturbi respiratori come naso chiuso o che cola, tosse secca e, nei bambini, talvolta anche nausea, vomito o diarrea. Secondo gli esperti, compreso Pregliasco, una “vera” influenza si riconosce dalla triade di febbre improvvisa, almeno un sintomo respiratorio e almeno un sintomo sistemico, cioè dolori diffusi o marcata stanchezza. Nel caso dell’influenza K, i sintomi possono risultare più intensi e durare più a lungo: si parla spesso di 7–9 giorni complessivi tra febbre, tosse e recupero, con una tosse che può protrarsi anche oltre le due settimane.
Vaccino, cure e prevenzione
Le formulazioni vaccinali stagionali, progettate prima dell’emergere del sottoclade K, potrebbero risultare meno efficaci nel prevenire l’infezione, ma continuano a offrire una buona protezione dalle forme più gravi, riducendo il rischio di complicanze e ricovero. Gli specialisti ricordano che, anche di fronte a una variante più contagiosa, la vaccinazione resta uno strumento centrale di sanità pubblica, soprattutto per chi ha altre patologie. Sul fronte delle cure, gli esperti raccomandano riposo, idratazione, farmaci sintomatici per la febbre e i dolori e l’uso degli antivirali solo nei casi a rischio e su indicazione medica. Le stesse regole di prevenzione valide per il Covid – igiene delle mani, evitare ambienti affollati se si hanno sintomi, mascherina in caso di tosse o contatto con soggetti fragili – restano efficaci anche contro l’influenza K, contribuendo a limitare contagi e assenze da scuola e lavoro.
Perché riconoscerla senza allarmismi
Pregliasco e altri virologi insistono sulla necessità di riconoscere presto i sintomi dell’influenza K per distinguere i quadri più impegnativi da un semplice raffreddore o da altri virus respiratori, senza però generare panico. L’obiettivo è favorire comportamenti responsabili – restare a casa in fase acuta, proteggere i fragili, non intasare inutilmente i pronto soccorso – e al tempo stesso ricordare che si è di fronte a una evoluzione “attesa” di un virus già noto. In questo scenario, l’informazione corretta diventa decisiva: spiegare che l’influenza K non è un nuovo patogeno sconosciuto, ma una variante più diffusiva di un virus che accompagna da anni le stagioni invernali, aiuta a bilanciare prudenza e normalità, permettendo a cittadini e istituzioni di affrontare la stagione influenzale con consapevolezza, ma senza allarme ingiustificato.