Hiv: aumento di casi durante il lockdown

Nel periodo di tempo che è andato da marzo a maggio si sarebbe registrato un aumento di casi di Hiv, anche dettati dalla sanità che ha reso più difficile effettuare i test di screening.

Hiv: aumento di casi durante il lockdown

“La pandemia ha comportato un danno indiretto a tutto il Sistema sanitario nazionale perché da fine febbraio a maggio il tipo di assistenza che abbiamo potuto dare ai nostri pazienti è stato sicuramente di qualità molto scadente per le esigenze di contenere la pandemia”, ha affermato il dirigente medico Malattie Infettive dell’Ospedale di Bologna, Lorenzo Badia. L’esperto ha detto la sua durante il webinair dedicato alla sensibilizzazione, alla prevenzione ed alla cura dell’Hiv.

Lo stesso ha dichiarato che i pazienti sieropositivi rappresentano una delle fette di popolazione maggiormente colpita dal Coronavirus, anche in modo indiretto a causa delle limitazioni di accesso ai test: “Ci sono già alcuni report internazionali che ci dicono come durante la prima ondata di Covid-19 ci sia stato di fatto un aumento dei contagi di Hiv in generale e un minor ricorso ai test diagnostici e alla profilassi post esposizione”

Badia spiega che le persone che si sono accidentalmente esposte all’Hiv, sia per motivi sessuali che professionali, hanno evitato la prassi di recarsi in un Pronto Soccorso entro le 48 ore. Tale raccomandazione sussiste al fine di iniziare tempestivamente una terapia antivirale atta a proteggere dall’infezione.

Questa accortezza, stando a quanto dichiarato dallo specialista, non sarebbe stata presa in modo sufficiente anche poichè le indicazioni erano quelle di evitare l’intasamento degli ospedali. “L’impatto dell’emergenza sanitaria dal punto di vista scientifico forse non riusciremo mai a quantificarlo. Sicuramente c’è stato” continua Badia.

Lo stesso ricorda che la problematica Coronavirus ha generato anche qualcosa di positivo: prima tra tutte anche la possibilità di superare le pratiche burocratiche, come i documenti e le cartelle da dover portare con sè ad ogni visita. Inoltre, conclude l’rsperto, l’emergenza in atto ha spinto gli ospedali a fornire più mesi di terapie: i pazienti, invece che recarsi all’ospedale sei volte all’anno, come accade nella maggior parte dei centri clinici, possono accedervi solamente per 2 o 3 volte. “Un aspetto che sembra di poco conto ma ha un notevole impatto sulla qualità della vita dei pazienti”, conclude Badia.

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