Da circa un mese i malati di epatite C hanno ricevuto una grande notizia: l’azienda Gilead ha lanciato un nuovo farmaco in compresse, il sofosbuvir, in grado di debellare il virus dell’epatite C in 12 settimane. L’AIFA, l’Agenzia Ministeriale del Farmaco, ha diffuso la notizia che dopo una lunga ed estenuante trattativa, era finalmente riuscita a strappare alla ditta americana un prezzo adeguato per permettere la cura per molti malati di epatite C.
Il problema principale di questa cura, infatti, è l’enorme costo che essa ha e che non permetterebbe a tutti i malati di usufruirne a carico dello Stato. Solo il 10% dei circa 300 mila malati italiani avrebbero accesso alla rimborsabilità del farmaco e sarebbero stati scelti i più gravi, quelli affetti, cioè da cirrosi epatica, con infezione da HIV, carcinoma epatico e in attesa di trapianto di fegato.
Il costo vivo della cura è di 68 mila euro per l’intero ciclo di terapia ed è possibile trovare il farmaco già da ora nelle farmacie del Vaticano e di San Marino. Il prezzo strappato dall’AIFA alla Gilead, invece, sarebbe di 37 mila euro, ma anche così non sembra possibile stanziare un fondo ad hoc per finanziare la cura in Italia.
Ed ecco che la rimborsabilità del farmaco diventa una chimera per tutti quei pazienti ammalati di epatite C che speravano in una nuova prospettiva di vita; il Ministero dell’Economia non sembra intenzionato a stanziare i fondi necessari, mentre le regioni temono che costi così alti sfondino i tetti di spesa previsti per la farmaceutica territoriale e che le industrie farmaceutiche, che generalmente sono deputate a contenere i costi per rimanere al di sotto di tale tetto, migrino in massa all’estero. A questo proposito, il ministro della Salute Lorenzin dichiara: “Il Piano nazionale contro le epatiti virali è pronto e stiamo ora cercando di mettere una cifra economica per l’eradicazione del virus”.
La soluzione al momento non si prospetta semplice e i malati, sempre più ansiosi di avere novità positive, attendono invano. Solo qualche fortunato (e ricco) paziente ha potuto cominciare la cura o perché si è recato all’estero o perché ha sborsato i famigerati 68 mila euro e ha acquistato il farmaco autonomamente.
Il Professor Mario Rizzetto, gastroenterologo all’Università di Torino, è esterrefatto: “A chi mi chiede le nuove cure non so cosa rispondere, se non di andare all’estero per acquistare il farmaco a proprie spese. E le assicuro che me ne vergogno“.