Epatite C, 300.000 italiani non sanno di averla

300.000 è il numero che definisce la preoccupante stima degli esperti: sono per persone in Italia che non sanno di avere l'Epatite C. Le categorie più a rischio sarebbero gli anziani, i tossicodipendenti ed i detenuti

Epatite C, 300.000 italiani non sanno di averla

Giovedì 7 Novembre, a Milano, un gruppo di esperti si è riunito per la premiazione del concorso ‘Giovani video-maker per una nuova visione: storie per vincere l’Epatite C. Insieme l’eliminzione è possibile‘, promosso dalla Società Italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), dall’Associazione Italiana studio del fegato, dalla Fondazione The Bridge, dalla Federazione LiverPool e da Gilead.

E’ stato proprio in quella occasione che, i medici, hanno affermato che in Italia si stimano 470.000 persone ancora da curare dall’Epatite C, e 300.000 di essi sarebbero inconsapevoli di avere l’infezione.

L’Italia è uno dei nove Paesi sulla buona strada per rispettare gli obiettivi fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità per il 2030, di ridurre del 90% i nuovi contagi e del 65% le morti legate all’epatite C. Ma c’è ancora un grande sommerso“, è quanto affermato dal Direttore scientifico della Simit, Massimo Andreoni. “L’Istituto superiore di sanità ha stimato, fino a gennaio 2018, che fossero 470.000 le persone non trattate, di cui 300.000 non sapevano di essere infette. Cifra che scende a 390.000 non trattati, se togliamo gli 80.000 curati tra il 2018 e ottobre 2019“.

Sebbene, in Italia, si stimi che solo l’1% della popolazione sia stato infettato dal virus dell’Epatite C, il problema principale sarebbe rappresentato dalle difficoltà di trovare le persone positive al virus che non hanno ancora eseguito il test. Matteoni continua: “Convincere qualcuno a farlo non è semplice perché l’epatite C è una malattia subdola, che rimane silente per molti anni e quindi molte persone si sentono bene e non pensano a farsi l’esame“.

Altrettanto difficoltoso si rivela convincere a fare il test i soggetti in situazioni di fragilità, come detenuti, tossicodipendenti e pazienti anziani. In quest’ultima categoria, infatti, l’incidenza della malattia è particolarmente alta, poichè fino agli ani Sessanta i medici utilizzavano siringhe di vetro al posto delle odierne usa e getta.

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