Da anni la comunità scientifica si domandava come i tumori avessero modo di proliferare senza essere identificati e sconfitti dal sistema immunitario. Si era al corrente che le cellule cancerogene sfruttassero alcune tecniche di camuffamento, ma non era però chiaro come fossero in grado di metterle in pratica.
A fornire una risposta a questo interrogativo, è stato uno studio condotto dalla Leibniz University di Hannover e dall’Università di Friburgo. La ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances, è stata cappeggiata dalla professoressa italiana Teresa Carlomagno, che in collaborazione con Maja Banks-Khn e Wolfgang Schamel, sono arrivati a scoprire una sorprendente verità.
A finire nel mirino è stato il legame che esiste tra due proteine che si trovano sulle cellule T, quelle preposte per la difesa dagli agenti infettivi. Denominate Pd-1 e Shp-2, in condizioni di normale funzionamento si legano tra di loro per evitare un’eccessiva risposta immunitaria che potrebbe dar luogo a pericolosi processi infiammatori. La loro azione combinata riduce la durata di febbri, arrossamenti e gonfiori, che senza una corretta supervisione potrebbero protrarsi in maniera ingiustificata.
Per arrivare a tutto ciò, viene attivata innanzitutto la proteina Pd-1, che a sua volta chiama in causa l’intervento di Shp-2. Il funzionamento coordinato di entrambe le molecole, così come spiegato dalla dottoressa Teresa Carlomagno, mette in moto “una cascata di eventi che porta al blocco della risposta immunitaria”.
Conoscendo questi processi, le cellule tumorali possono subdolamente camuffarsi, impedendo una risposta efficace da parte del sistema immunitario. Detto in altre parole, le stesse proteine che dovrebbero difenderci, si tramutano in involontari complici di un male che può attecchire e svilupparsi indisturbato. Per la dottoressa è quindi necessario agire per riattivare le difese: attualmente esistono delle terapie oncologiche che puntano a raggiungere questo obiettivo, ma oltre ad essere costose, hanno anche dei fastidiosi effetti collaterali. In conclusione, così come da lei suggerito, per trovare una valida soluzione sarebbe opportuno agire “su un altro anello della catena rispetto agli anticorpi in commercio”.