Depressione: la malattia che dimostra l’esistenza dell’anima

La depressione è una malattia sempre più presente nella società odierna. Alcuni studi hanno dimostrato la correlazione tra malattia e fede, portando a riflessioni sull'esistenza di un'anima.

Depressione: la malattia che dimostra l’esistenza dell’anima

Secondo gli studi condotti dall’Organizzazione mondiale della sanità, la deprssione è la malattia più diffusa al mondo. Lo stile di vita della società odierna è caratterizzato da stress, competizioni e orari lavorativi insostenibili, comporta un sempre maggior aumento del manifestarsi della malattia.

Mario Caponetto, cardiologo argentino e professore di etica, bioetica, antropologia filosofica e antropologia medica in varie università, affronta il tema della depressione collegando la malattia alla sfera spirituale affermando che non è una malattia del corpo anche se agisce sui neuroni. Per spiegare questa affermazione, Mario Caponetto cita gli studi dello psichiatra Viktor Frankl, il quale manifesta l’esistenza del “vuoto esistenziale”.

La depressione risulta quindi essere una malattia che inizialmente agisce sull’anima a causa di stati di sofferenza e incompletezza, che poi darà effetti sul corpo. Per spiegare i fattori che svolgono un ruolo fondamentale per la comparsa della malattia, Caponetto utilizza la frase di Sant’Agostino: “Ci hai fatto per te, Signore, e i nostri cuori sono irrequieti finché non riposano in te”. L’irrequietezza è data da insoddisfazioni e angoscia che non raggiungeranno mai un lieto fine se non si spera nell’esistenza di un Dio.

L’angoscia e la speranza svolgono un ruolo chiave nel decorso della malattia, ma nel secolo industrializzato i due termini hanno perso il loro senso cristiano: l’angoscia è un vicolo cieco e non vi sono vie d’uscita, la speranza terrena diventa disperazione per la ricerca di denaro o vizi umani. L’uomo che viene privato della sua sfera spirituale diviene materialista e soggetto a malattie non fisiche. Secondo Caponetto gli psicologi hanno sostituito il ruolo dei confessori.

L’idea di Caponetto trova affinità con gli studi pubblicati nel 2005 sul Journal of Adolescent Health i quali dimostrano che le persone che svolgono abitualmente attività religiose, presentano minori probabilità della comparsa della malattia. Inoltre, uno studio pubblicato sulla rivista Jama Psychiatry nel 2013, dimostra che le persone con una fede bacillante hanno una corteccia cerebrale più sottile rispetto a chi partecipa alla vita cristiana, quindi, il rischio dell’insorgenza di depressione è maggiore per i soggetti non attenti alla fede.

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