Covid-19: la variante indiana raddoppia il rischio ospedalizzazione

Il rischio di ricovero ospedaliero dopo essere stati contagiati dalla variante indiana è pressoché doppio rispetto a quello associato alla mutazione inglese. A farlo presente è una ricerca dell’Università di Edimburgo pubblicata su "Lancet".

Covid-19: la variante indiana raddoppia il rischio ospedalizzazione

Stando ai risultati di una ricerca pubblicata su Lancet, la mutazione indiana del Covid-19 raddoppia il rischio di ospedalizzazione rispetto al a quella riscontrata con la variante inglese.

L’analisi portata a termine dai ricercatori dell’Università di Edimburgo, arriva anche a far presente che nel Regno Unito, quello indiano è a tutti gli effetti il ceppo predominante. Conosciuto anche come variante Delta della Sars-CoV-2, è contraddistinto da un tasso di contagiosità superiore del 60% rispetto alla variante inglese o Alfa. Inoltre, così come evidenziato per qualsiasi altra mutazione, anche quella indiana comporta un maggior rischio di ricovero in ospedale tra i pazienti positivi affetti da patologie preesistenti.  

Lo studio sostenuto dal governo scozzese, è entrato anche nel merito dell’efficacia dei vaccini. L’opinione degli scienziati è che i preparati attualmente a disposizione continuino a fornire un’elevata protezione contro il virus. Ad ogni modo prima di poter attivare efficacemente le difese immunitarie, bisogna attendere almeno 28 giorni dalla prima somministrazione. 

Più in particolare, nel caso di Pfizer-BioNTech, la protezione assicurata contro la variante Delta è del 79% rispetto al 92% di quella Alfa; nel caso del vaccino Oxford-Astra-Zeneca, le percentuali sono rispettivamente del 60% e del 73%. Per gli esperti chiamati ad interpretare i dati meno incoraggianti del preparato anglo-svedese, la minore efficacia sarebbe da ricondurre alle tempistiche più lunghe necessarie per sviluppare l’immunità contro il Covid.

Lo studio condotto nel periodo compreso tra l’1 aprile e il 6 giugno 2021 su 19.543 casi di Covid registrati all’interno della popolazione scozzese,  conferma dunque l’efficacia dei vaccini attualmente in uso, ma ribadisce l’importanza di monitorare le varianti, dando impulso alle vaccinazioni, unico strumento capace di contrastarne la diffusione. Il professor Aziz Sheikh, direttore dell’Usher Institute dell’Università di Edimburgo, ha quindi concluso che attualmente “due dosi dei vaccini Pfizer/BioNTech e Oxford/AstraZeneca offrono ancora una protezione sostanziale contro il rischio di infezione e ricovero”.

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