Un’interessante scoperta è stata rivelata proprio in occasione della Settimana del Cervello, celebrata dal 14 al 20 marzo e a cui ha aderito anche la Società Italiana di Neurologia. La scoperta in questione sarebbe la seguente: parlare due lingue non solo aiuta nel mondo del lavoro, ma favorirebbe anche, in caso di ictus, il recupero delle funzioni cognitive in tempi più rapidi rispetto a soggetti che invece conoscono una sola lingua.
A dirlo sarebbe uno studio condotto di recente da un team di scienziati della University of Edinburgh e pubblicato dalla rivista “Stroke”.
Gli scienziati hanno analizzato ben 600 pazienti indiani di Hyderabad, metà dei quali bilingue, colpiti da ictus ischemico. Dai test effettuati, che comprendevano la valutazione di funzioni quali memoria, attenzione e abilità visiva e spaziale, è emerso che coloro che parlavano due o più lingue avevano un recupero di gran lunga migliore e che quelli che avevano funzioni cognitive normali dopo l’ictus erano il doppio. In un certo senso, sembrerebbe che il bilinguismo abbia reso più plastico e più forte il cervello.
Leandro Provinciali, presidente della Società Italiana di Neutologia, ha spiegato: “Quando abbiamo due lingue madre il nostro cervello è più attivo in diverse aree. È come se la nostra corteccia cerebrale svolgesse più compiti nel passare da una lingua all’altra. E l’allenamento rafforza il cervello preparandolo a rispondere meglio a eventuali danni. Nei bilingui la scelta delle parole si fa in base al contesto in cui ci si trova, pescando dalle risorse che servono al momento. Il cervello si allena a sviluppare queste strategie alternative. Ovvero, se il contesto cambia, come accade in seguito al danno da ictus il cervello si adatta a rispondere a una nuova situazione“.
Il miglioramento nei tempi di recupero dall’ictus in realtà è solo una delle ultime scoperte effettuate dai neurologi che studiano il cosiddetto “vantaggio dei bilingui”: nel 2013 è stato anche scoperto che parlare due lingue ritarda di oltre 5 anni la comparsa dei primi sintomi di demenza, e quindi della diagnosi, rispetto alla popolazione monolingue.