Nel mondo sono 67 milioni le persone affette da autismo e, anche se la scienza medica ha fatto enormi passi avanti, i disturbi dell’ASD continuano ad essere un mistero. Domani 2 aprile si celebrerà la Giornata Mondiale che sarà fondata sulla consapevolezza di questa malattia. Per l’occasione, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù a Roma ha organizzato un convegno internazionale durante il quale sarà resa nota la nascita di AIRA, l’associazione italiana ricerca sull’autismo, che costituirà un punto di riferimento nazionale per istituzioni e pazienti.
I disturbi dell’ASD riguardano il neurosviluppo e sono caratterizzati da un funzionamento mentale atipico che si manifesta per tutta l’esistenza. E’ evidente che ogni caso è un caso singolo, da studiare a parte, ma è innegabile che chi è affetto da questa malattia tende a vivere isolato dal mondo e ha problemi di comunicazione. Ad essere colpiti maggiormente sono i bambini, in una percentuale quattro volte superiore rispetto alle femmine, e sono diversi i fattori che concorrono alla manifestazione dell’ASD, tra cui l’aumento dell’età di entrambi i genitori che intraprendono il concepimento e una serie di fattori ambientali e predisposizioni genetiche.
Ecco un parere della dottoressa Maria Luisa Scattoni del Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze dell’ISS: “Oggi sappiamo che alla base dell’autismo vi è un’alterata maturazione cerebrale biologicamente determinata e, per identificarne le cause, siamo al lavoro su più fronti: genetico, neuroscientifico e cognitivo-comportamentale”.
La ricerca costante ha permesso di individuare centinaia di alterazioni geniche che concorrono a modificare il corretto funzionamento neurale. Inoltre, studi approfonditi hanno permesso di rilevare un’alterazione dello sviluppo cerebrale già nel terzo trimestre di gestazione. Ciò vuol dire che quando il bambino viene alla luce la malattia ha fatto già il suo decorso in quanto la crescita neurale ha avuto il suo picco.
Altri studi non invasivi analizzano il comportamento spontaneo del bambino in diverse situazioni, analizzando pianto, movimenti e reazioni agli stimoli sociali e non sociali nei primi 24 mesi di vita. Questi studi sono molto importanti, in quanto le mamme in genere sanno riconoscere che qualcosa non va a seconda delle risposte date dal proprio figlio. Ma anche la diagnosi è ancora molto difficile prima dei 2-3 anni, e si spera di poterla anticipare per intervenire con piani di recupero adeguati.