Alzheimer, scoperta molecola che impedisce il ricambio cellulare

Alcuni ricercatori torinesi hanno scoperto la molecola che impedisce al cervello di ripulirsi. La notizia è stata pubblicata sulla rivista "Autophagy". Si aprono nuove prospettive per le cure

Alzheimer, scoperta molecola che impedisce il ricambio cellulare

Uno studio nato nei  laboratori del Nico (Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi)  in collaborazione con l’Università di Torino ha permesso di chiarire uno dei meccanismi che impedisce alle cellule del cervello di ripulirsi e quindi di favorire l’Alzheimer. In pratica la malattia insorge quando si verifica l’accumulo nel tessuto cerebrale di peptidi di amiloide; quello che i ricercatori hanno individuato è proprio la relazione che collega questa molecola al meccanismi di morte e all’impedimento del ricambio cellulare.

Ecco come hanno commentato le ricercatrici del Nico Elena Tamagno e Michela Guglielmotto questa incredibile scoperta: “Grazie a questo studio abbiamo aperto la strada a nuove ricerche, occorre infatti indagare i meccanismi molecolari che rallentano lo smaltimento di ‘rifiuti’, così da favorire il processo di ricambio cellulare di tipo ‘positivo’ e frenare lo sviluppo dell’Alzheimer. Questi risultati, che confermano l’importanza della ricerca di base, potrebbero aiutare a disegnare nuove terapie che possano curare, o almeno alleviare i sintomi di questa terribile malattia”.

Durante il processo della malattia di Alzheimer il meccanismo di degradazione che di solito assicura il ricambio cellulare risulta alterato, ma finora non era chiaro il meccanismo molecolare che non permette alle cellule malate di smaltire i ‘rifiuti’. Il mancato svolgimento del processo di autofagia infatti provoca sofferenza e stanchezza nel paziente. D’altronde, il verificarsi di un accumulo di ammassi o detriti cellulari non consente alle cellule di funzionare bene anche negli organismi sani, figurarsi in quelli malati.

Il gruppo di studiosi che ha fatto questa scoperta è stato guidato dal direttore dell’Istituto Alessandro Vercelli, ed è stato svolto con la piena collaborazione del Dipartimento di Scienze Biologiche e Cliniche dell’Università di Torino, compresi anche ricercatori dell’Università di Catania, Genova, Losanna e perfino della Columbia University di New York.

La scoperta apre nuovi orizzonti sulle cure da intraprendere e su nuovi metodi da inserire per alleviare i sintomi della malattia. L’Alzheimer purtroppo è sempre più in crescente diffusione e finora le terapie eseguite poco sono servite ad attenuare le conseguenze, che spesso coinvolgono i familiari in maniera grave. Speriamo che questa scoperta porti tanti miglioramenti sui pazienti trattati e favorisca la sperimentazione di nuove terapie, più efficaci e meno degradanti.

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