Gli animali della zona di Chernobyl si stanno adattando alla radioattività

Subito dopo l’esplosione, la comunità scientifica era convinta che nell’area intorno alla centrale non sarebbe sopravvissuto nessun essere vivente. Oggi sappiamo non solo che si sbagliavano, ma anche che molti animali si stanno adattando alle radiazioni.

Gli animali della zona di Chernobyl si stanno adattando alla radioattività

Anche a distanza di 33 anni dal quel 26 aprile 1986, parlare di Chernobyl continua ad incutere un certo timore. Il più grave incidente della storia mai verificatosi ad una centrale nucleare rimane un avvenimento difficile da cancellare dalla memoria di chi ha vissuto quei concitati momenti. Per la prima volta il mondo intero fu costretto a trattenere il fiato, augurandosi di non dover far fronte alle possibili conseguenze di una catastrofe su larga scala.

Da allora il nome Chernobyl viene accostato all’immagine della distruzione e dell’abbandono. E in effetti la zona intorno alla centrale, la cosidetta zona di esclusione, il cui raggio è di circa 30 chilometri, è tutt’oggi pressoché deserta. Questo però non significa che all’interno di quest’area off-limits non esista alcuna forma di vita. A differenza di quello che fu prospettato subito dopo la tragedia, la zona di alienazione è oggi popolata da molti animali che vi trovano rifugio. È questo il caso non solo di molti animali domestici, ma anche di orsi, lupi, volpi, linci, lontre e diverse specie di uccelli.

Il livello di radiazioni emesse, superiore di 400 volte quelle riscontrate dopo l’esplosione della bomba atomica di Hiroshima, aveva lasciato intendere che la zona sarebbe rimasta per millenni un deserto disabitato. La storia ha invece smentito le previsioni più pessimistiche, in quanto la vita non solo continua ad esistere, ma sta anche prendendo le dovute contromisure.

A confermarlo troviamo le conclusioni fornite dal TREE, il TRansfer-Exposure-Effects, progetto diretto da Nick Beresford del Centro per l’ecologia e l’idrologia del Regno Unito. Grazie a questa iniziativa che ha permesso di installare delle telecamere all’interno della zona interdetta si ha avuto modo di monitorare per anni le attività degli animali. Si è così scoperto che questi ultimi, anziché soccombere, sono stati in grado di adattarsi in maniera più o meno efficace.

Ad esempio le rane sono diventate più scure, mentre i parassiti sono riusciti ad attaccare più efficacemente gli insetti, che dal loro canto si sono dimostrati meno longevi e resistenti. Anche alcune specie di volatili hanno sviluppato più alti livelli di albinismo, ma tutto sommato si deve concludere che le conseguenze delle radiazioni non hanno causato l’apocalisse che in tanti si prefiguravano. In altre parole non si sono riscontrati danni tali da compromettere la sopravvivenza della fauna selvatica.

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