Con la dichiarazione di fallimento presentata lo scorso 1° ottobre al Tribunale di Firenze, Rifle si appresta ad abbandonare mestamente il mercato. Operante dal lontano 1958, quando venne fondata dai fratelli Fratini, lo storico marchio del jeanswear italiano si è presto affermato sia in patria che all’estero.
Se in Italia viene ricordato per aver vestito i primi paninari, Rifle all’estero ha avuto il merito di aver spopolato nei paesi comunisti dell’Est Europeo, dove possedere un jeans era il più delle volte un sogno irrealizzabile. E fu proprio con Rifle che in paesi come Russia, Cecoslovacchia, Polonia e Bulgaria, nel giro di poco tempo i cinque tasche tricolori divennero un oggetto del desiderio indossato da milioni di persone.
Il vento iniziò però a cambiare negli anni Novanta: l’appeal non era più quello di un tempo e le vendite iniziarono a calare. Da allora la parabola discendente non si è più arrestata. Complice anche la minor richiesta di jeans da parte del mercato, nei primi anni Duemila Rifle si trovò ad affrontare una pesante crisi che ha ridimensionato le ambizioni del brand. Con l’acqua alla gola, tra perdite e debiti l’azienda ha continuato a sopravvivere fino alla messa in liquidazione del 2013.
Da lì l’idea è stata quella di ripartire con un piglio diverso, ma alle buone intenzioni non ha mai fatto seguito nulla di davvero concreto. Una soluzione all’inarrestabile agonia sembrava potersi raggiungere nel 2017, quando in società aveva fatto ingresso un fondo di investimento estero intenzionato a dare nuovo lustro al marchio.
Ad ogni modo, nonostante le buone intenzioni, il colpo di grazia è arrivato per mano del Covid. Così come poi riportato da Il Sole 24 Ore, “l’atteso piano di rilancio e di ristrutturazione del debito non c’è stato, ed è arrivato il fallimento”. Per i 96 lavoratori del quartier generale di Barberino del Mugello e dei negozi monomarca in tutta Italia, ora non resta che sperare nella buona riuscita della vendita all’asta degli asset aziendali.