Metà degli italiani compra degli abiti che non indosserà mai

A sostenerlo sono i risultati di un sondaggio condotto da Swg per conto di Greenpeace. L’acquisto permetterebbe di combattere la noia ed aumentare la propria autostima. Ma il senso di euforia dura poco

Metà degli italiani compra degli abiti che non indosserà mai

Consultando i risultati di un sondaggio commissionato da Greepeace Italia è stato possibile trarre una serie di conclusioni su quello che è lo shopping eccessivo nel nostro Paese. Stando a quanto emerso, un italiano su due possiede un numero di abiti maggiore rispetto a quelle che sono le sue necessità. Il 46% possiede dei capi mai utilizzati o addirittura ancora provvisti dell’etichetta di acquisto.

Il sondaggio condotto da Swg, società dedita alle ricerche di mercato e ai sondaggi di opinione, ha interessato un campione di mille italiani di età compresa tra i 20 e i 45 anni. Per Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, quanto emerso fa capire che esiste una buona parte di connazionali dipendenti dallo shopping compulsivo. Utilizzando un inglesismo saremmo di fronte a quello che viene definito anche “shopping addicted”.

L’irrefrenabile bisogno di comprare vestiti verrebbe giustificato come un mezzo per combattere la noia e lo stress: allo stesso tempo aumenterebbe anche la propria autostima. Ma il piacere originato dal più sfrenato consumismo avrebbe una durata assai limitata. Il senso di euforia e soddisfazione si esaurirebbe nel giro di due giorni dall’acquisto.

Ad essere maggiormente colpita sarebbe una particolare categoria, ossia le donne di età compresa tra i 30 e i 39 anni, residenti al Nord-Ovest e al Sud e con un reddito superiore ai duemila euro. Donata Francescato, docente di Psicologia di Comunità all’Università La Sapienza di Roma ha giustificato questa situazione riconoscendo che proprio “le donne giovani con un lavoro ben remunerato sono quelle che subiscono maggiormente lo stress di una società altamente competitiva”.

Questo tipo di patologia ha un impatto non indifferente sull’ambiente. Comprare abiti che verranno buttati senza mai essere stati indossati è uno spreco che comporta la creazione di montagne di rifiuti. Capi sintetici derivanti dal petrolio come il poliestere sono estremamente difficili da riciclare. Senza dimenticare che la produzione di tessuti comporta l’utilizzo di composti chimici che a contatto con la pelle possono causare gravi malattie; stiamo parlando delle stesse sostanze che inquinano l’ambiente e contaminano anche le falde acquifere. In merito bisogna ricordare che dopo il settore petrolifero, sono proprio le industrie tessili ad utilizzare più risorse idriche e a risultare quindi tra le più inquinanti in assoluto.

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