Nel nostro Paese gli stranieri che lavorano in nero sono impiegati in tutti i settori della nostra economia ed aiutano a far andare avanti il Paese, ma i loro sforzi, invece che finire nelle casse dello stato, aumentano il sommerso.
Queste persone svolgono qualsiasi tipo di lavoro, dalla racolta dei pomodori in estate a 3 euro all’ora, alla vendita ambulante per le vie cittadine, all’assistenza agli anziani, ecc.
Il rapporto Eurispes evidenzia che gli stranieri impiegati senza contratto sono quasi 400mila, e sono destinati a crescere perché con la crisi la situazione “è sicuramente peggiorata” commenta il Presidente Gian Maria Fara. Gli stranieri con contratti non regolari sarebbero il 12,7% dei lavoratori in nero.
Il governo guidato da Mario Monti aveva deciso di affrontare la situazione nel luglio del 2012, precisamente otto mesi dopo il suo insediamento, con il decreto legislativo 109 che introduceva un sistema di sanzioni per “i datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, ma soprattutto dava la possibilità di presentare domanda per sanare la propria condizione. Magda non ci ha neanche provato: “Mi hanno detto che se la mia richiesta veniva rifiutata potevo essere espulsa. Qui guadagno bene, posso mandare i soldi a casa e mantenere la mia famiglia”. Altri invece sono stati fermati dai costi: 1000 euro all’Inps e sei mesi di contributi arretrati, in realtà per legge a carico del datore di lavoro. Per altre 134.747 persone invece la domanda è partita: vengono soprattutto dal Bangladesh, si sono stabiliti in tutte le parti d’Italia e lavorano per lo più nell’agricoltura e nei servizi alla persona.
La richiesta di regolarizzazione doveva essere presentata dal datore di lavoro. Per ora ad avere ottenuto esito positivo sono poco più di 20mila. Più di un terzo è stato rifiutato, altri restano bloccati tra le pieghe della burocrazia. L’Italia aveva l’occasione di allinearsi alle direttive dell’Unione Europea, ma questi risultati rischiano di vanificarne lo sforzo. Ciò che più preoccupa però è la paura di cui si fà portavoce Mohamed: “Se parlo smetto di lavorare, così a chi mi chiede la mia condizione dico anche che ho le vacanze pagate!”