‘Io no spik inglish’, per citare un simpatico film con Paolo Villaggio di qualche anno fa. ‘I don’t speak English‘, per essere più verosimili. Ma la sostanza, quella no, non cambia. Per un ragazzo su quattro in Italia, questa risposta è costata l’eventuale posto di lavoro; l’ennesima conferma del fatto che le lingue, in Italia, si studiano poco e male, pregiudicandone la conoscenza in maniera decisiva. Secondo il sondaggio condotto da Aba English, sarebbe quindi questa una delle cause principali della mancanza di assunzione per i giovani italiani, penalizzati quindi in partenza; e non è nemmeno un campione così ‘rappresentativo: la domanda è stata fatta a ben 3 milioni di studenti, di varie fasce di età. Inutile dire che la stragrande maggior parte di loro sarebbe favorevole all’incremento dei finanziamenti statali per l’insegnamento dell’inglese nelle scuole.
Secondo un recente sondaggio dell’Ef Education First, l’Italia sarebbe il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda le lingue straniere, dopo la Francia, che però a differenza nostra ha la fortuna di parlare una lingua comunque molto richiesta nel mondo lavorativo: i più penalizzati nel mondo lavorativo, dunque, siamo comunque noi. Ed è soprattutto per motivi lavorativi, in effetti, che gli italiani si mettono a studiare inglese. La comprensione (52%) e la conversazione (40%) sarebbero i problemi principali, e in pochi lo nasconderebbero (14%), per paura di essere scoperti in sede di colloquio. La buona notizia è che il trend è positivo: c’è consapevolezza del problema e si cerca di incrementare le ore di studio (lo fa il 44% degli intervistati), anche se non si affronta sui banchi di scuola o all’università, quanto piuttosto con corsi privati o da autodidatta. La scuola italiana, d’altronde, è arrivata in ritardo rispetto alle altre nazioni europee: l’inglese è obbligatorio dal 1990, quando negli altri Paesi si studiava già la seconda (e in alcuni casi anche la terza) lingua già da anni. L’esigenza di cambiamento c’è, le risorse no. E’ questo il grande dilemma dell’Italia: per metterci al passo, certo, ma anche per trovare lavoro!