I furbetti della cassa integrazione. Come alcune aziende sfruttano gli ammortizzatori, beffando Stato e lavoratori

Lo scorso mese i sindacati edili denunciarono casi di presunti abusi nelle richieste di ammortizzatori sociali. Ora le testimonianze di alcuni lavoratori"agili" in cassa integrazione, senza mai smettere di lavorare.

I furbetti della cassa integrazione. Come alcune aziende sfruttano gli ammortizzatori, beffando Stato e lavoratori

Qualche testimonianza era già comparsa su Linkedin, il noto social professionale, ripresa da Businnes Insider pochi giorni fa, in merito a lavoratori messi in cassa integrazione in deroga (CIG), a loro insaputa o quasi. Precedentemente il segretario generale di Fillea-Cgil, il sindacato degli edili, Alessandro Genovesi, aveva denunciato aziende che non completano il percorso di confronto sindacale, per la messa in cassa integrazione delle maestranze. Stiamo parlando dei sospetti sulla gestione “allegra” degli ammortizzatori sociali, da parte di alcuni imprenditori.

Partiamo proprio dal comparto edile, dove i sindacati hanno segnalato un anomalo aumento di casi, in cui le aziende non completano le procedure di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, entro tre giorni dalla richiesta. L’Inps interpreta questo un atto interno aziendale, senza obbligo, autorizzando di fatto l’erogazione degli ammortizzatori praticamente sulla parola. Così facendo, spiega Genovesi, imprese con fatturati positivi, in grado di anticipare la CIG ai propri dipendenti, oltre al danno erariale, aggiungono il danno per i lavoratori. “Si corre il rischio di incentivare l’abuso degli ammortizzatori sociali”, scrive in una nota Genovesi, che aggiunge: “Come Filea-Cgil denunceremo alla magistratura ogni azienda che, in base alla circolare, non avrà rispettato le norme di legge.”

Sembrano esistere modalità più sottili, per l’utilizzo anomalo degli ammortizzatori, ad esempio  nel settore dei servizi, dove il telelavoro è stato ampiamente utilizzato, durante il lockdown. Raccontiamo la storia di Alessio – nome di fantasia – che lavora a Milano per una multinazionale, in smart working da fine Febbraio, in CIG da metà Aprile. Significa che l’80% dello stipendio è pagato dall’Inps, quindi dovrebbe lavorare non più di 2 ore al giorno.

Massimo Braghin, consigliere nazionale dell’ordine dei Consulenti del lavoro ed esperto di smart working spiega che “il lavoro agile e la cassa integrazione sono di fatto incompatibili“, perché sotto stretto controllo del datore di lavoro. Eppure Alessio assicura che la mole di impegni non è mai scesa. Quando ha chiesto all’azienda come comportarsi, visto che le mail a cui dare una risposta continuavano ad arrivare e le video conferenze impegnavano quasi tutta la giornata, gli è stato risposto: “Non dovreste lavorare, ma se state portando avanti un progetto valutate voi. Regolatevi come meglio credete“. Ecco: non si dovrebbe lavorare, ma se la scelta è “libera“…

Poi ci sono casi più eclatanti, come i lavoratori che scoprono solo retroattivamente di essere in cassa, senza essersi mai fermati (“Risulta che sia stato in cassa integrazione perfino la domenica” rivela uno di loro che vive in Campania), oppure i tecnici telefonici che, in piena pandemia, eseguivano interventi a domicilio e, dopo aver aperto la busta paga di Aprile, si sono resi conto di essere cassintegrati senza alcuna comunicazione aziendale.

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