San Giuseppe Vesuviano, l’ISIS Einaudi-Giordano incontra Angelo Amato De Serpis nel Giorno della Memoria

Arpàd ed Egri, due grandi allenatori ebrei ungheresi, sono i protagonisti dell'evento "La memoria non si insegna", che ha ripercorso, attraverso i trionfi del Bologna e del Grande Torino, la drammatica persecuzione antisemita del '900.

San Giuseppe Vesuviano, l’ISIS Einaudi-Giordano incontra Angelo Amato De Serpis nel Giorno della Memoria

Nel mondo globale che stiamo abitando, dove il progresso tanto agognato ha reso possibile che una pandemia avesse i giorni contati grazie alle celeri azioni della scienza che ci garantisce il diritto alla vita varcando inesorabilmente ogni confine, appare quasi assurdo pretendere di spiegare alle nuove generazioni quelle infamie di cui l’umanità si è macchiata rischiando di trascinare il globo in un colpevole e imbarazzante definitivo regresso.

Il coraggioso compito degli insegnati di validi educatori della scuola del presente si propone di impartire ai più giovani un’appropriata lettura delle vicende del passato al fine di valorizzare adeguatamente la memoria storica che hanno inevitabilmente ereditato. A questo proposito, un’iniziativa lodevole è senza dubbio quella intrapresa dall’Istituto Statale di Istruzione Superiore Einaudi – Giordano di San Giuseppe Vesuviano, i cui alunni, coordinati dall’insegnante Autilia Archetti, quale delegata all’area legalità dell’istituto, hanno partecipato, coinvolti ed entusiasti, all’evento “La memoria non si insegna“- tenutosi lo scorso 27 gennaio – interfacciandosi con l’autore nolano Angelo Amato De Serpis.

Il libro “Arpad ed Egri” è il risultato di una lunga ricerca che ha permesso allo scrittore di riportare in auge il trionfo del calcio italiano attraverso le vicende sportive del Bologna e del Grande Torino, all’epoca ancora agli albori, con una rivisitazione in chiave romanzata delle vite di due grandi allenatori ebrei ungheresi quali Arpàd Weisz e Erno Egri Erbstein sono stati. “Mio padre che era del ’38“- dichiara De Serpis- “ben ricordava la vicenda del Superga e quanto quel brutto giorno del funerale abbia scoperto un’Italia commossa e in lacrime. Ho avuto modo di conoscere Susanna Egri, figlia di Erno, che ha letto il mio libro emozionandosi tantissimo. Ciò che più l’ha colpita è la vicenda di Weisz perchè si è resa conto di essere in vita per un miracolo quando, per un colpo di fortuna, un burocrate fascista non li fece passare al confine tra Germania e Olanda“.

Le vicissitudini razziali che hanno interessato il secondo conflitto mondiale del secolo scorso non hanno impedito che qualsiasi cittadino israelita che vivesse nel vecchio continente fosse risparmiato dall’odio hitleriano, un inspiegabile disprezzo che in pochi anni è riuscito a rastremare il popolo palestinese di circa 60 milioni di innocenti. “Il male è un prodotto umano“- spiega Francesco Conte, dirigente scolastico dell’istituto – “La risposta a questo male dobbiamo ricercarla nelle nostre coscienze. La discriminazione del periodo fascista ha permesso tutto questo ma la colpa non è di Dio“.

Una riflessione a mio avviso, in questo scenario apocalittico quale è stato l’Olocausto, incredibilmente sottile ed acuta. Forse la concausa, com’è stato sottolineato durante l’incontro, possiamo ricercarla nella voglia di riscatto economico di una Germania sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale, ma è assurdo credere che questa violenza disumana sia maturata soltanto per questo motivo.

Gli alunni dell’I.S.I.S. Einaudi-Giordano del secondo biennio e del quinto anno di tutti gli indirizzi, guidati dalla prof Archetti, si sono interfacciati ai temi della xenofobia, del razzismo e dell’indifferenza, discutendone con l’autore in maniera innovativa, creando così un’occasione di crescita e confronto che può essere uno spunto dal quale partire per conservare vivamente la memoria.

Per progredire, per farne tesoro, non basta riempire la mente di nozioni storiche che una giusta didattica si propone di ultimare ma è necessario che l’animo degli studenti diventi emotivamente consapevole del dolore che la follia umana può generare. “Una realtà dolorosa che”– conclude Autilia Archetti – “dalla mente si trasforma in ricordo solamente quando passerà nel cuore. E lì resterà in modo indelebile“.

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