Toshiba, dopo aver sorpreso tutti – ad Aprile – col progetto della commessa androide ChihiraAico, è tornata a investire sull’innovazione, questa volta concentrandosi sul versante della sicurezza. Attualmente, per garantire un sicuro accesso a profili e device, si usa abbinare uno username ad una password che, troppe volte, è semplice ed indovinabile dagli hacker (con i loro attacchi brute force).
Per questo motivo, sin ora, ci si è spinti verso l’implementazione di lettori ottici di impronte digitali e si è implementata questa feature anche nei prossimi sistemi operativi mobili (es. Android Marshmallow).
Il problema, tuttavia, è che l’impronta digitale è sì unica (come un codice fiscale) ma è, comunque, hackerabile seppur in modo molto complesso (si copia l’impronta da un supporto, ad esempio un bicchiere, e la si incolla su un angolino di plastica speciale). Come fare, quindi, per blindare davvero i nostri dati ed i nostri supporti tecnologici?
Come dicevamo, l’idea è venuta a Toshiba che ha ideato una sorta di log-in tramite la scansione dell’iride (anch’essa unica, come l’impronta delle dita). Nello specifico, l’azienda giapponese di high tech ha realizzato T4KE1, un sensore fotografico CMOS da 2.1 megapixel in grado di rilevare una frequenza della luce prossima a quella degli infrarossi: compito di questo sensore sarebbe quello di scansionare l’iride e di confrontarla con un modello precedentemente riconosciuto. In caso affermativo, il log-in avrebbe esito positivo e si concederebbe l’accesso al dispositivo.
Attualmente Toshiba ha rilasciato le specifiche tecniche del suo progetto a diversi produttori di hardware interessati (nel settore smartphone, tablet e portatili) in modo da valutare l’eventuale applicabilità di questo sistema di sicurezza ai device già usciti o di prossimo varo.
Solo in seguito a questa fase di test, opportunamente supportata dalle direttive della multinazionale giapponese in questione, potremo – forse – vedere tale tecnologia di security applicata anche ai dispositivi che utilizziamo ogni giorno per comunicare col mondo che ci circonda. Sempre, bene inteso, che non si preferisca fermarsi alla fase delle impronte ottiche (che pure, va osservato, sarebbe un incredibile passo avanti in fatto di sicurezza).