Nel corso di una riunione svoltasi in una stanza virtuale, Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha illustrato ad alcuni giornalisti, assieme a diversi suoi ingegneri (es. il responsabile dei Reality Labs Michael Abrash), le sfide che la sua azienda sta affrontando nella realizzazione del visore perfetto per la VR, in grado di superare il test visivo di Turing in ragione del quale le persone si domandino se quel che stanno vedendo sia reale o meno.
Di fronte a una parete con tutti i visori realizzati dal 2014, cioè quanto Facebook ha comprato Oculus, il giovane magnate con la passione per il Metaverso (nel quale creare legami significativi) ha spiegato che, nel riconsegnare all’occhio umano la sensazione della realtà, e nel “rendere giustizia alla bellezza e alla complessità degli ambienti fisici“, si sta lavorando sull’elevare la risoluzione, nel migliorare la messa a fuoco e nel ridurre la distorsione ottica Questo perché “i visori VR di oggi dispongono di una gamma di colori e di un grado di luminosità e contrasto decisamente inferiori a quelli di computer portatili, TV o cellulari” provvisti di schermi 2D.
Nel perseguire questi obiettivi, si passerà anche per il raggiungimento di un nuovo livello di HDR e per la realizzazione di lenti ad hoc che si flettano per spostare la focale. Ad oggi, l’insieme si è concretizzato a Menlo Park in diversi prototipi di nuovi visori, che potrebbero anche non concretizzarsi mai.
Holocake 2, al contrario dei Quest 2, non si può usare da solo ma va collegato a un PC: in compenso, è il più sottile e leggero mai realizzato dall’azienda. Il merito va a due escamotage: il primo prevede l’invio della luce attraverso l’ologramma di una lente, che funziona come la lente stessa, rispetto alla quale è “molto più piatto“, mentre il secondo fa compiere alla luce la stessa distanza che si avrebbe facendola partire dal pannello, attraversare la lente per arrivare all’occhio, con la differenza che ciò si verificherebbe però in un formato più compatto, con un minor “effetto della distanza tra lo schermo e l’occhio“, perché la luce verrebbe rimpallata tra pareti riflettenti (riflessione polarizzata).
Il prototipo Butterscotch, molto ingombrante e pesante, sostanzialmente serve per confermare che un forte impatto sull’esperienza in VR si ha con un’elevata risoluzione: ipso facto, tale prodotto ha un campo visivo la metà del Quest 2, comunque confortevole per la visione in VR, ma una risoluzione superiore, grazie a una lente ibrida di nuova generazione che assicura una visione di 10 decimi, pari a 60 pixel per grado.
Starburst, invece, propone un display HDR luminoso come il mondo intorno all’utente, quindi con aree luminose che risaltano ma non a detrimento di quelle in ombra, con colori resi anche molto realisticamente: per ottenere ciò, si è predisposta la collocazione, Half-Dome., di una lampada, ottenendo però qualcosa “praticamente inutilizzabile in qualsiasi prodotto destinato alla commercializzazione effettiva“. Mirror Lake, infine, ancora senza un concept fisico da mostrare, dovrebbe usare un display ad alta risoluzione molto luminoso, come lo Starbust, un obiettivo ibrido, come l’Holocake, e gli stessi obiettivi del visore Half-Dome, ovvero degli obiettivi a focale variabile non meccanicamente ma, onde occupare meno spazio, elettronicamente.