La storia di Ayrin, 29 anni, racconta in modo emblematico uno dei temi più discussi degli ultimi anni: il confine sempre più sottile tra relazioni umane e legami virtuali costruiti con l’intelligenza artificiale. Una vicenda che parte da una curiosità tecnologica e arriva a una scelta di vita concreta, mostrando con chiarezza i limiti emotivi dei partner digitali e il valore, spesso sottovalutato, della complessità dei rapporti reali.
Ayrin inizia a usare ChatGPT alla fine del 2024. È sposata, ma avverte una mancanza difficile da definire. Da questa sensazione nasce l’idea di creare un chatbot personalizzato, modellato sulle sue esigenze emotive. Lo chiama Leo. Non è solo uno strumento di conversazione, ma diventa presto un confidente costante, sempre disponibile, capace di ascoltare e rispondere senza giudicare. Il rapporto si sviluppa interamente online, con una dimensione intima che per Ayrin assume un significato autentico, nonostante l’assenza di una presenza fisica.
La donna non vive questa esperienza di nascosto. Decide anzi di raccontarla pubblicamente, prima al New York Times e poi su Reddit, dove fonda la community MyBoyfriendIsAI. In breve tempo lo spazio cresce e raccoglie migliaia di persone che condividono storie simili, legami nati con un’intelligenza artificiale percepita come partner emotivo.
Per un periodo, Leo sembra funzionare alla perfezione: risponde sempre, consola, non si sottrae mai. È costante, prevedibile, rassicurante. Con il tempo, però, qualcosa cambia. Gli aggiornamenti del modello modificano il modo in cui il chatbot interagisce. Leo diventa sempre più accomodante, privo di contraddizioni, incapace di creare attrito. Dice sempre la cosa giusta, nel tono giusto. Proprio questo eccesso di perfezione inizia a pesare.
Ayrin si rende conto che non sta più dialogando, ma ricevendo conferme continue. Non si sente davvero ascoltata, ma semplicemente assecondata. È in quel momento che matura la decisione di interrompere il rapporto, scegliendo di “ghostare” il suo compagno virtuale. A segnare definitivamente il distacco contribuisce anche l’arrivo di una nuova conoscenza. All’interno della community, Ayrin incontra SJ, una persona reale con un passato simile al suo. Anche questa relazione nasce a distanza, fatta di lunghe conversazioni su Discord e di un tentativo condiviso di costruire una quotidianità, pur senza incontrarsi subito. Quando finalmente avviene il primo incontro dal vivo, a Londra, emergono elementi completamente assenti nella relazione con l’IA: incomprensioni, silenzi, insicurezze, persino il timore di non essere accettata.
Proprio queste imperfezioni rendono però il legame più concreto e significativo. Questo passaggio segna una svolta profonda. Ayrin decide di intervenire sulla sua vita reale e chiede il divorzio. Il rapporto con l’intelligenza artificiale, al contrario, si spegne senza confronti né addii. A giugno chiude l’abbonamento a ChatGPT e volta pagina. La sua storia si intreccia con un momento delicato per il settore.
OpenAI ha annunciato nuove regole che consentiranno agli adulti di intrattenere conversazioni erotiche con i chatbot, una scelta che contribuisce a normalizzare i legami virtuali e solleva interrogativi sui loro effetti a lungo termine. L’esperienza di Ayrin offre però una chiave di lettura diversa. L’intelligenza artificiale può fornire ascolto, presenza e conforto, ma resta prevedibile. Non sbaglia, non mette in discussione, non oppone resistenza. Ed è proprio in questa assenza di rischio che emerge il limite più evidente dei partner virtuali. Le relazioni umane sono faticose, imperfette, a volte scomode, ma è lì che si costruisce il senso di autenticità. Forse, come suggerisce questa vicenda, il destino di molti rapporti con l’IA non può che essere un addio silenzioso, un ghosting senza clamore, quando il bisogno di realtà torna a farsi sentire.