La vicenda giudiziaria che vede contrapposte Apple e Masimo si arricchisce di un passaggio decisivo destinato a lasciare il segno nei rapporti tra i colossi della tecnologia e le aziende specializzate nel settore medicale. Una giuria federale statunitense ha stabilito che Apple dovrà versare a Masimo un risarcimento pari a 643 milioni di dollari, dopo aver giudicato che la funzione di misurazione dell’ossigeno nel sangue degli Apple Watch abbia violato un brevetto dell’azienda californiana, nota per le sue soluzioni professionali dedicate al monitoraggio clinico.
Il contenzioso non è certo nato ieri. Le due società si scontrano nelle aule di tribunale dal 2020, con una serie di cause incrociate che hanno acceso un dibattito globale su innovazione, proprietà intellettuale e ruolo dei dispositivi consumer nel settore della salute digitale. L’ultima sentenza, riportata da Reuters, rappresenta per Masimo una vittoria dal peso simbolico oltre che economico, ma Apple ha immediatamente annunciato che presenterà ricorso, definendo il verdetto “contrario ai fatti” e ribadendo di aver sempre operato nel pieno rispetto delle norme.
Secondo l’azienda di Cupertino, Masimo avrebbe avanzato oltre venticinque contestazioni in differenti tribunali negli ultimi anni, gran parte delle quali giudicate infondate. Inoltre, Apple sottolinea come il brevetto al centro della disputa sia scaduto nel 2022 e riguardi una tecnologia clinica risalente a decenni fa, quindi lontana dall’evoluzione dei suoi smartwatch.
Masimo, invece, vede nella decisione una conferma della correttezza del proprio operato e della necessità di proteggere le innovazioni che hanno contribuito a modernizzare il settore sanitario. Il conflitto ha già avuto ricadute concrete sul mercato. Nel dicembre 2023, gli Stati Uniti hanno imposto un blocco alla vendita degli Apple Watch dotati di ossimetria, una misura poi sospesa temporaneamente ma ripristinata nel gennaio 2024.
Per mantenere i dispositivi sul mercato, Apple ha inizialmente disattivato via software la funzione, per poi introdurre nell’agosto 2025 una soluzione alternativa che prevede l’elaborazione dei dati direttamente su iPhone e non sull’orologio. Questa scelta è stata considerata valida dalle autorità doganali statunitensi, consentendo la commercializzazione dei nuovi modelli.
La modifica, però, non ha convinto Masimo, che ha presentato un ulteriore ricorso con l’obiettivo di bloccare nuovamente la diffusione degli Apple Watch dotati della funzione, anche se in forma indiretta. L’azione è ancora in attesa di una decisione definitiva, lasciando aperto uno scenario che potrebbe cambiare ancora nelle prossime settimane. La partita, dunque, è ben lontana dall’essere conclusa. Questa sentenza segna un punto importante, ma potrebbe rappresentare soltanto un passaggio intermedio di una disputa che ha già ridefinito il mercato dei wearable e il rapporto tra tecnologia di consumo e strumenti di monitoraggio avanzato.