Mauro Corona: «L’alcol accende la mia creatività. Mio padre mi picchiava, se n’è andato nel sonno: troppo comodo»

Lo scrittore e volto televisivo Mauro Corona si racconta in un’intervista intensa: dall’infanzia difficile segnata da relazioni familiari complesse, all’alcol come compagno di vita e singolare stimolo per la creatività.

Mauro Corona: «L’alcol accende la mia creatività. Mio padre mi picchiava, se n’è andato nel sonno: troppo comodo»

Mauro Corona, 74 anni, scrittore, alpinista e volto televisivo tra i più noti e controversi del panorama italiano, ha rilasciato al Corriere della Sera un’intervista densa di confessioni forti, in cui l’alcol, la sofferenz@ familiare e la creatività si fondono in un racconto crudo e senza filtri. L’autore di Storia di Neve non si nasconde: «Bere e ubriacarmi stimola la mia creatività», ammette senza giri di parole, collegando l’ispirazione artistica a un’abitudine che affonda le radici in un’infanzia segnata dalla violenz@ domestica e dalla miseria.

Nella memoria di Corona, l’alcol non è mai stato solo un vizio, ma una costante, un elemento quotidiano che accompagnava la vita del piccolo paese di Erto, dove è cresciuto dopo l’allontanamento della madre Lucia, più volte ridotta in fin di vita dai pugni del padre ubriaco. «In famiglia bevevano tutti», racconta con tono amaro, ricordando quando, a nove anni, il nonno gli versò il primo mezzo bicchiere di vino, dicendogli: «Fa s@ngue».

Un gesto che suona oggi come un’iniziazione precoce a un mondo in cui l’alcol scorreva più dell’acqua. Durante la giovinezza, tra i venti e i ventotto anni, Mauro beveva ogni giorno: dodici birre, una bottiglia di vino e perfino whisky. Eppure, dice, riusciva a sopportarlo grazie a un’attività fisica intensissima, quasi rabbiosa: «Facevo ore di corsa in salita, arrampicate anche dopo le sbornie. Brucio tanto, e il mattino non mi svegliavo mai male».

Il suo fisico, temprato dalla montagna, compensava gli eccessi, ma il vuoto interiore restava. Quando provò a smettere, non resse: «Il problema è che mi annoiavo», ammette. Per lui bere è anche un rituale sociale, il vino come legame con la comunità, tra un racconto, un parto di una mucca o una risata con gli amici. Corona oggi beve meno, ma non ha mai davvero smesso.

«Bevo, ma meno», sottolinea, specificando che le sbornie hanno partorito anche i suoi scritti più intensi, tra cui proprio il romanzo Storia di Neve, nato in «undici mesi di sbornie notturne». Ma le conseguenze non sono mancate: patente ritirata, processi per ubriachezza molest@, e persino episodi ai limiti dell’assurdo, come quando fu denunciato per sequestro di persona per aver tentato di portare di peso un ateo in chiesa durante la notte di Natale.

Il dolore familiare resta centrale nella narrazione. Il padre, violento e autoritario, è scomparso nel sonno, dopo un’ultima bevuta con lui: «Alle sette di sera bevemmo un litro assieme, poi si mise a letto e non si svegliò più. Una morte troppo garbata per uno come lui». Anche la madre se ne andò nello stesso modo, poco tempo dopo. Il fratello Felice invece fu trovato privo di vita in circostanze mai chiarite, in una piscina a Paderborn, in Germania: «Tutto intorno, cocci di bottiglia. Un delitto. Non ho mai saputo cosa sia successo davvero». Dietro la scorza dura, dietro la voce roca e i modi schietti di Mauro Corona, si nasconde un uomo pieno di cicatrici, che ha saputo trasformare il dolore in racconto, e l’alcol, pur con tutte le sue ombre, in una miccia per accendere parole, storie e memoria.

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