"Hello robot" in mostra al "Vitra Design Museum" di Basilea

"Hello, Robot. Design between Human and Machine" al Vitra Design Museum a Basilea illustra - esponendo 150 pezzi - la "quarta rivoluzione industriale" , stimolando domande sul nostro futuro.

"Hello robot" in mostra al "Vitra Design Museum" di Basilea

La nostra generazione sta assistendo alla “quarta rivoluzione industriale”, all’evoluzione in una quotidianità automatizzata, connessa, digitalizzata. Il progresso incide sulla realtà, sul nostro lessico: intelligenza artificiale, Internet, nanotecnologie, bot.

In questo contesto, la figura del design risulta decisiva per l’idealizzazione delle interfacce uomo-macchina che designeranno l’effige del robot futuro. Antonio Sant’Elia nel 1914, nell’architettura futurista della “Città Nuova“, già auspicava una “Casa Moderna” similare ad una gigantesca macchina.

Il primo progetto documentato di un robot umanoide è stato creato dal genio di Leonardo da Vinci attorno al 1495. Negli anni cinquanta vennero riscoperti alcuni suoi appunti contenenti disegni dettagliati per realizzare un cavaliere meccanico. Il primo robot funzionante, conosciuto, risale al 1738: Jacques de Vaucanson fabbricò un androide che suonava il flauto. La parola robot deriva dal termine ceco robota, che significa lavoro pesante o lavoro forzato ed è divenuto popolare grazie allo scrittore ceco Karel Čapek che usò questo termine per la prima volta nel 1920 nel suo dramma teatrale “I robot universali di Rossum”.

Nella serie di racconti “Io, Robot“, Isaac Asimov profetizza le possibili emergenze di un futuro manipolato dalla tecnologia. Enunciò le “Tre Leggi della Robotica” nel tentativo di frenare la competizione fra robot ed esseri umani. Il film “Metropolis” del 1927, diretto da Fritz Lang, vaticina una città popolata da uomini e macchine, da uomini meccanici e macchine umane ove lo scienziato protagonista è reo di aver oltrepassato i confini della natura.

Oggi i robot non si limitano a costruire automobili, vivono tra noi sotto molteplici spoglie, come gli elettrodomestici interattivi, non sono più un oggetto di studio esclusivo per scienziati e ingegneri, come accadeva nel XX secolo, partecipano nella nostra quotidianità, interagiscono con l’uomo condizionando il suo approccio con la realtà.

I robot finiranno per sostituirci? E’ la domanda che risuona all’interno dell’esposizione “Hello, Robot. Design between Human and Machine”, che sarà visitabile fino al 14 maggio presso il Vitra Design Museum a Basilea. Gli oggetti esposti sono 150, oggetti d’arte, design, installazioni e cortometraggi. “Hello, Robot” offre una riflessione fondamentale per il design futuro, indagando sul boom della robotica. E’ un progetto trans-nazionale curato dal Museo austriaco di Arti Applicate / Arte Contemporanea (MAK) di Vienna, dal Design Museum di Gent. Amelie Klein, la curatrice del museo Vitra, è affiancata dai colleghi austriaci Thomas Geisler e Marlies Wirth, dal belga Fredo De Smet.

Le tematiche principali sono quattro: Science and Fiction, dalla letteratura, al cinema, ai manga giapponesi; Programmed to work, il mondo del lavoro e l’industria; Friend and Helper, la robotica nella vita quotidiana; Becoming One, l’integrazione uomo macchina. Quattordici domande accompagnano la visita, aprendo molteplici riflessioni su tematiche, etiche e morali; “Could a robot do your job?” insinua il dubbio sull’effettiva necessità di un uso intensivo della macchina nel lavoro, rilanciando la paura degli esperti del World Economic Forum di Davos (Svizzera) che prevedono la perdita di 5 milioni di posti di lavoro a causa dei robot; “How do you feel about objects having feelings?” l’umanità e l’intelligenza artificiale stanno probabilmente integrandosi.

Carlo Ratti Associati, con il supporto di Vitra, ha sviluppato “Lift-Bit”, un divano dalla configurazione digitale, il progettista Tatsuya Matsui della Flower Robotics espone “Patin” un robot che vive, naturalmente nella quotidianità, una specie di maggiordomo robotico: prodotti invitanti che potrebbero condurre verso scenari agghiaccianti. I progetti del collettivo “Superflux” e del designer britannico Joseph Popper. mostrano contesti cacotopici, esistenze permeate da appendici tecnologiche invasive. Dan Chen con “End of Life Care” si spinge oltre: in una stanza ospedaliera disadorna, illuminata da una sola luce fluorescente, un robot personalizzato è progettato per guidare, confortare, il paziente nel momento del trapasso. 

L’“Elytra Filament Pavilion” posta all’esterno chiude il percorso: è un nuovo modo di pensare, costruire l’architettura, una struttura ultraleggera, in fibra di vetro e carbone, realizzata da macchine robotizzate, utilizzando il biomimetismo e il calcolo algoritmico, ideata da un gruppo di ricerca dell’Università di Stoccarda. Il catalogo, ideato dallo studio di graphic design berlinese Double Standards, è impaginato seguendo un algoritmo designato da un set di parametri definiti.

I contributi sono tantissimi: Woody Allen, Jacques Tati, Björk, Daft Punk, Disney/Pixar Animation Studios, Höweler + Yoon Architecture, Carlo Ratti, Stanley Kubrick, George Lucas, Spike Jonze, Kraftwerk.

Il nostro compito sarà quello di trovare il modo migliore con cui interagire con queste macchine intelligenti, scrivere un vocabolario comune, un prontuario accessibile a tutti” dice la curatrice del MAK Vienna. 

Il futuro scorre sotto i nostri occhi, occorre trovare una modalità opportuna per interagire con le “macchine intelligenti”. Fin dall’inizio, il dibattito sull’intelligenza artificiale è stato improntato su visioni utopiche e distopiche, la speranza in un futuro tecnologico positivo e il terrore dell’impotenza dinnanzi alla deriva.

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