Entro il 2040 potrà triplicare la quantità di plastica gettata negli oceani

L’allarme è stato lanciato da un team di ricercatori internazionali, i quali hanno ribadito che qualora non venga messa in atto “un’azione globale immediata”, entro 20 anni la quantità di plastica presente negli oceani conoscerà una drammatica impennata.

Entro il 2040 potrà triplicare la quantità di plastica gettata negli oceani

Se l’umanità non sarà in grado di invertire la tendenza, entro il 2040 i nostri oceani saranno letteralmente invasi dai rifiuti di plastica. A sostenerlo è lo studio internazionale “Evaluating scenarios toward zero plastic pollution”, condotto da un team di ricercatori internazionali e pubblicato sulla rivista Science.

Stando alle conclusioni di questa ricerca alla quale hanno partecipato 17 esperti guidati da Winnie Lau dell’organizzazione non governativa Pew Charitable Trusts, entro 20 anni la quantità di questo materiale disperso negli oceani potrà triplicare, raggiungendo complessivamente 600 milioni di tonnellate, l’equivalente di 3 milioni di balenotte azzurre. Come da loro constatato, se solo fino a pochi anni fa l’umanità produceva 8 milioni di tonnellate di plastica all’anno, ora, complice anche la pandemia che ha incrementato l’output, il volume sarà di circa 11 milioni, valore che nel 2040 è destinato a raggiungere i 29 milioni di tonnellate.

Ciononostante, al momento attuale saremmo ancora in tempo per poter cambiare rotta. Mettendo in atto quella che è stata definita “un’azione globale immediata”, la produzione di questo derivato del petrolio potrebbe essere ridimensionata, limitando l’inquinamento dell’80% su base annua. Detto in altre parole, tutto sarebbe ancora nelle nostre mani, ma a condizione di introdurre nuovi imballaggi più ecologici e compostabili, aumentando al contempo il quantitativo di plastiche riciclate.

Al momento però, pur mettendo in pratica tutti gli impegni presi da governi e industrie, la riduzione delle plastiche che finiranno negli oceani da qui al 2040 sarebbe limitata ad un misero 7%. A finire nel mirino sono in primo luogo i rifiuti solidi urbani non raccolti, così come il fatto che molti imballaggi hanno una vita brevissima, in quanto vengono trasformati in rifiuti dopo un solo utilizzo. Senza poi dimenticare che chi brucia all’aperto i rifiuti, se da una parte riduce la mole di plastica che finirebbe negli oceani o più generale nell’ambiente, dall’altro lato aumenta la quantità di Co2 e di gas serra immessa nell’atmosfera, incrementando il problema del riscaldamento globale.

Come rilevato da Tom Dillon, vicepresidente per l’ambiente di Pew, “con un’azione rapida e concertata possiamo rompere l’onda di plastica. Possiamo investire in un futuro all’insegna della riduzione degli sprechi, migliori risultati sulla salute, maggiore creazione di posti di lavoro e un ambiente più pulito e più resiliente sia per le persone che per la natura”.

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