L’allarme climatico relativo al surriscaldamento globale si sta facendo sempre più impellente, al punto che oramai gli scienziati di tutto il mondo non si interrogano più sul capire se la catastrofe ecologica accadrà veramente, ma si chiedono semplicemente quando quel giorno arriverà. Inquinamento e surriscaldamento globale hanno infatti smesso di essere un semplice problema ipotetico, trasformandosi in vere e proprie emergenze annunciate.
Tra le lacrime di coccodrillo di chi inizia ad accorgersi del problema solo ora (se ne parla oramai dagli anni ’60, nonostante le cervellotiche farneticazioni dei fanatici del consumismo selvaggio e dell’obsolescenza pianificata, pronti a qualsiasi bassezza pur di sostenere il loro modello economico preferito), stanno iniziando a fioccare le prime “soluzioni di fortuna“. Una di queste è focalizzata sulla salvaguardia dei ghiacciai dell’Artico, oramai a forte rischio di scioglimento.
Non si sta parlando solamente di un innalzamento del livello degli oceani, bensì di una possibile catastrofe ancora peggiore, se possibile: lo scioglimento del Permafrost locale. Il Permafrost (termine con il quale si indica un terreno perennemente ghiacciato da almeno due anni) dell’Artico in particolare contiene enormi quantità di metano, che verrebbe irrimediabilmente riversato nell’atmosfera qualora il suolo ghiacciato dovesse sciogliersi. In questo modo, con l’ulteriore inquinamento atmosferico, si avrebbero fortissime ripercussioni anche su un effetto serra già devastante.
Ciò determinerebbe con ogni probabilità il punto di non ritorno del surriscaldamento globale, sancendo definitivamente l’alba della catastrofe. Per scongiurare questa possibilità, gli scienziati stanno discutendo di un’ipotesi quantomeno bizzarra, ma che potrebbe effettivamente funzionare: ridipingere il Mar Glaciale Artico di bianco, allo scopo di generare una superficie riflettente per i raggi solari; in questo modo, limitando l’assorbimento di questi ultimi, il nuovo ghiaccio potrebbe tornare a formarsi “naturalmente”.
Una soluzione comunque criticata da diversi esperti, figlia dei tempi che corrono: zero prevenzione, per poi pretendere di curare le ferite da arma da fuoco con cerotti e (se proprio vogliamo esagerare) con un poco di acqua ossigenata. D’altra parte, non esistono politiche di salvaguardia del Permafrost dell’Artico, il cui scioglimento sarebbe devastante per la Terra. A spiegare la vicenda nei dettagli è stato uno studio pubblicato dal Carnegie Institution of Scienze di Washington.
L’organizzazione americana no-profit ha infatti riprodotto delle simulazioni sugli effetti che potrebbe produrre l’imbiancamento del Mar Glaciale Artico, arrivando alla conclusione che, per ogni chilometro quadrato di mare imbiancato, si potrebbero recuperare fino a 750 metri quadrati di ghiaccio. Tuttavia, la soluzione non può che ritenersi momentanea, come spiegato dalla stessa Ivana Cvijanovic, ricercatrice del Carnegie: “Ciò non sarebbe in grado di mantenere il Permafrost. Imbiancare la superficie del Mar Glaciale Artico non sarebbe uno strumento efficace per compensare gli effetti dei cambiamenti climatici provocati dalle emissioni di gas serra”.
Lo stesso istituto ha poi rivelato che, secondo recenti rilevazioni, la concentrazione di anidride carbonica presente oggi nell’atmosfera è almeno 4 volte superiore a quella che si poteva registrare in epoca pre-industriale, e dallo stesso periodo la temperatura media del Polo Nord è salita di ben 10 gradi.