"Anthropocene", l’impronta umana sul Pianeta

Al Mast di Bologna è stata allestita una mostra che è un reportage, ma soprattutto un grido d'allarme che ha lo scopo di smuovere la coscienza collettiva sul tema del devastante impatto dell'opera dell'uomo sul Pianeta Terra.

"Anthropocene", l’impronta umana sul Pianeta

Negli anni ’80 il biologo Eugene F. Stoermer coniò il termine Antropocene, poi adottato nel 2000 nel libro “Benvenuti nell’Antropocene” dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen. Con questo termine si vuole generalmente indicare l’attuale epoca geologica, nella quale l’attività umana costituisce la causa principale delle modifiche e degli stravolgimenti territoriali, strutturali e climatici verificatisi sulla nostra Terra, l’impatto che l’attività dell’uomo ha avuto e continuerà, purtroppo, ad avere sull’equilibrio dell’intero pianeta, ormai devastato e sfigurato nella sua natura originaria. Non molto di ciò che ci circonda, infatti, è rimasto totalmente naturale.

Da questa considerazione nasce la mostra “Anthropocene“, allestita al Mast (Manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia) di Bologna, la quale ha aperto i battenti lo scorso 16 maggio e sarà visitabile fino al 22 settembre 2019. Sempre più spesso, infatti, l’arte viene utilizzata per lanciare messaggi di denuncia a tema ambientale. È proprio questo lo scopo di questa esposizione, che documenta e mette in mostra lo stato attuale del pianeta dovuto all’impatto annientatore e distruttivo dell’uomo. Fotografie, murales, videoinstallazioni e realtà aumentata mettono il visitatore di fronte alla sconvolgente realtà che oggi ci circonda.

Si tratta di un progetto multidisciplinare nato dalla collaborazione durata quattro anni tra il fotografo Edward Burtynsky e i filmmaker Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, che unendo arte, realtà aumentata e ricerca scientifica hanno documentato i cambiamenti che l’uomo ha inciso sul pianeta, testimoniando gli effetti dell’attività umana sui processi naturali. Il progetto ha esordito nel settembre 2018, in Canada, con il filmAnthropocene: the human epoch“, codiretto dai tre artisti e proiettato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, e con la mostra, organizzata in partnership con la Fondazione Mast, allestita in contemporanea all’Art gallery of Ontario di Toronto e alla National gallery of Canada di Ottawa.

Ora il progetto arriva per la prima volta in Europa, con l’obiettivo, coltivato dal gruppo internazionale di scienziati “Anthropocene Working Group“, attraverso le prove raccolte nel corso della sua lunga ricerca, di portare il grande pubblico a conoscenza del passaggio che sta avendo luogo dall’attuale epoca geologica, l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa, all’Antropocene. Il fotografo Burtynsky ha dichiarato: “Crediamo che il nostro lavoro possa smuovere le coscienze (…) Speriamo di far maturare nel pubblico la consapevolezza degli effetti, di solito nascosti, dell’impatto globale e cumulativo che la civiltà ha sul pianeta. Pensiamo che descrivere il problema in modo vivido (…) possa concorrere ad animare un dibattito sempre più vivace su quelle che possono essere le soluzioni ai vari problemi (…) in modo che le popolazioni future possano continuare a godere della magia e dello splendore di ciò che la vita su questo pianeta ha da offrire“.

Il percorso espositivo

Nel tentativo di affrontare tutte o quasi le catastrofi ambientali sul nostro pianeta, la mostra utilizza diversi mezzi espressivi in quattro distinte sezioni: 35 fotografie di grande formato scattate da Edward Burtynsky, che attraverso la visione aerea sono capaci di dimostrare che gli esseri umani sono diventati la singola forza più dominante sul pianeta e la causa delle sue grandi trasformazioni; le fotografie illustrano, infatti, lo scontro tra uomo e natura mediante numerose attività come l’estrazione delle risorse naturali, l’urbanizzazione, l’industrializzazione, l’agricoltura, il moltiplicarsi delle dighe e la deviazione dei corsi d’acqua, l’onnipresenza distruttiva della plastica, del cemento e di altri tecno-fossili, la deforestazione, le grandi infrastrutture di trasporto, le discariche e l’inquinamento, l’eccesso di emissioni di CO2 e l’acidificazione degli oceani dovuta al cambiamento climatico. Queste incursioni umane su scala globale, che alterano i paesaggi con i sistemi imposti dall’azione dell’uomo sul territorio, sono così gravi che i loro effetti sono destinati a protrarsi e ad influire sul corso delle ere geologiche.

Quattro enormi murales ad alta risoluzione, realizzati partendo da fotografie di Burtynsky, si estendono su intere pareti e attraverso l’utilizzo di tecnologie fotografiche all’avanguardia permettono al visitatore di vivere un’esperienza immersiva stupefacente quanto sconcertante, consentendogli di osservare nei minimi dettagli la sconvolgente complessità delle incursioni umane sulla Terra attraverso alcuni luoghi simbolo dell’emergenza ambientale. I murales sono potenziati tramite l’utilizzo di estensioni video che scavano a fondo nella tematica rappresentata attraverso una pluridettagliata esplorazione dell’ambiente raffigurato, e sono visibili tramite l’app AVARA, scaricabile gratuitamente sul proprio smartphone tramite Apple Store o Google Play, e disponibile, inoltre, sui tablet messi a disposizione del pubblico lungo il percorso espositivo.

Tre installazioni in realtà aumentata ricreano alcuni eventi simbolici, come lo storico rogo di cataste di zanne d’avorio confiscate ai bracconieri a Nairobi, in Kenia nel 2016; l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco, che con la sua morte, avvenuta nel 2018 in Sudan, ha segnato l’estinzione della sua sottospecie; o ancora il leggendario Big Lonely Doug, il maestoso abete Douglas canadese quasi millenario, risparmiato da un boscaiolo nel corso di una deforestazione nel 2011. I tre artisti propongono in questa sezione una tipologia di immagine nuova e articolata, composta da un elevato numero di immagini fisse assiemate attraverso un processo chiamato fotogrammetria. Le installazioni RA, visibili anch’esse tramite l’app AVARA, permettono al visitatore di muoversi intorno all’immagine quasi fosse un oggetto reale, portandolo a vivere un’esperienza immersiva grazie ad un’immagine 3D a grandezza quasi naturale.

Tredici videoinstallazioni di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, che si avvalgono di tecniche di ripresa all’avanguardia, forniscono una visione del predominio e della supremazia dell’uomo sul pianeta e offrono la possibilità di riflettere e di esplorare i diversi scenari rappresentativi delle teorie dell’Anthropocene e, attraverso l’efficacia e l’incisività dell’immagine in movimento, favoriscono la comprensione della portata del fenomeno. Dal tunnel ferroviario più lungo della Svizzera alla gigantesca discarica a Dandora, in Kenya, alle barriere frangiflutti edificate sul 60% delle coste cinesi, dalla devastazione della grande barriera corallina australiana al disboscamento della foresta Cathedral Grove di Vancouver Island, dalle miniere di fosfato della Florida a quelle di potassio nei Monti Urali, in Russia, dalle raffinerie di petrolio a Houston, in Texas, alle vasche di evaporazione del litio nel Deserto di Atacama e alle cave di marmo della nostra Carrara, fino al lavoro della ciclopica macchina Bagger 291 nelle miniere di lignite di Hambach in Germania.

Nel percorso espositivo è possibile, inoltre, assistere alla proiezione del sopracitato film “Anthropocene: the human epoch”, la cui voce narrante appartiene al premio Oscar Alicia Vikander, che attesta e documenta un momento delicato e problematico nella storia geologica del nostro pianeta, proponendo un’esperienza provocatoria e indelebile dell’influsso negativo della nostra specie sul pianeta Terra. La mostra “Anthropocene” è un’esposizione multimediale che testimonia, quindi, la devastante e permanente impronta umana sulla Terra. L’intento è inequivocabile: mostrare in maniera evidente e quasi palpabile, attraverso video e ampia documentazione fotografica, di cosa l’uomo sia stato capace nel corso del tempo, facendo progressi nell’ambito della scienza e della tecnologia, certamente, ma a scapito della salute del proprio pianeta.

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